Magazine Cultura
L’ultimo giorno di fiera ho deciso di tornare al padiglione degli editori coreani. Volevo gustarmi con calma alcuni bellissimi albi illustrati che sapevo non avrei più rivisto in Italia. Allo stand dell’editore BOMBOM (che significa ‘vedere la primavera’ in coreano) un albo scritto in inglese e non ancora pubblicato ha catturato la mia attenzione: Don’t be sorry dad! di Nari Hong. L’ho sfogliato e letto fino alla fine, ne ho apprezzato la storia semplice ma toccante. Mi sono commossa. Quando ho riposto il libro una ragazza sorridente mi si è avvicinata, mi stava osservando, io non l’avevo notata. Si è presentata come l’autrice e illustratrice del libro - e questa - mi ha detto – è la storia del mio papà -. Le ho fatto i complimenti, da quelle pagine esce tutta la tenerezza e l’amore che fin da bambina ha provato per lui, costretto su una sedia a rotelle.
Un padre che voleva soltanto poter giocare e correre con la figlia, come tutti gli altri. Le ho spiegato che sono soltanto una aspirante libraia ma che se fossi stata un editore, e forse lei lo sperava, avrei pubblicato il suo albo. Ci siamo salutate e scambiate l’indirizzo mail per simpatia. Ho continuato la mia passeggiata ma arrivata in fondo al padiglione ho sentito una mano sulla spalla. Era Nari, l’illustratrice coreana: mi ha offerto in dono il suo libro in un pacchetto. – Non importa se non sei un editore – mi ha detto – ha importanza come lo hai letto e che hai compreso il suo significato -. Mi sono commossa di nuovo, in così poco tempo. Ho sentito in quel momento che la fiera per me è stata anche questo, costruire ponti di amicizia attraverso i libri anche con persone molto lontane culturalmente e fisicamente da me. Il mio pensiero è andato a Jella Lepman che per prima ha creduto e fortemente investito in questa idea considerata rivoluzionaria negli anni del secondo dopo guerra.
Elena Ariani, Master Accademia Drosselmeier