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L’ultimo lupo

Creato il 01 aprile 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
  • Anno: 2015
  • Durata: 118'
  • Distribuzione: Notorius Pictures
  • Genere: Avventura, drammatico
  • Nazionalita: Cina, Francia
  • Regia: Jean Jacques Annaud
  • Data di uscita: 26-March-2015

Sulla locandina italiana dell’Ultimo lupo spicca la citazione: «non si cattura un dio per farne uno schiavo». Wolf Totem o L’ultimo lupo in italiano è tratto dal romanzo semi-autobiografico di Jiang Rong (pseudonimo di Lü Jiamin): Lang Tuteng, 2004. Edito in Italia da Mondadori nel 2006 con il nome Il totem del lupo è scampato alla censura cinese ed è divenuto un best-seller in patria vendendo venti milioni di copie. Il romanzo, ambientato in Cina durante la rivoluzione culturale – quando Mao Tse-Tung inviava in Mongolia giovani mandatari con lo scopo di educare gli autoctoni – nasconde un giudizio verso gli scempi ambientali causati in questo modo dal regime.

Sinossi: Nel 1969, in piena rivoluzione culturale, Chen Zhen, un giovane studente di Pechino viene inviato nelle zone interne della Mongolia per insegnare a una tribù nomade di pastori. A contatto con una realtà diversa da quella che aveva sin qui conosciuto, in un deserto sconfinato e dalla bellezza mozzafiato, Chen scopre di esser lui quello che ha molto da imparare: sull’esistenza, sulla comunità, sulla libertà, sul senso di responsabilità e sul lupo, la creatura più riverita delle steppe. Sedotto dal complesso e quasi mistico legame che i pastori hanno con il lupo e affascinato dall’astuzia e dalla forza dell’animale, Chen ne cattura un cucciolo e decide di addomesticarlo. Il forte rapporto che si crea tra i due sarà però minacciato dalla decisione di un ufficiale del governo di eliminare a qualunque costo tutti i lupi della regione.

Recensione: Una pellicola impegnativa di 118 minuti con una forte connotazione politico-ambientale ed uno scorrimento lento che già riscontriamo come impronta stilistica nella filmografia di Jean-Jacques Annaud (Il nome della rosa, 1986, Sette anni in Tibet, 1997), con una narrazione che comunque  non ne risulta intaccata. Il nasconde dei sensazionalismi da blockbuster con una forte connotazione ecologista: potrebbe bene, per la sua straordinaria capacità descrittiva dell’ambiente e per il rispetto nel racconto dei tempi della natura, (il passare delle stagioni con il progressivo sviluppo del piccolo lupo e la variazione dei colori della steppa), essere inserito all’interno della categoria documentaristica. Un grande plauso’ poi, va alle riprese aeree effettuate con i droni che impreziosiscono ed arricchiscono la varietà di immagini.

Tuttavia mi sento di esprimere una piccola critica: l’aspettativa riposta nei confronti di questo film (ne è la lampante conferma il secondo posto nel box office italiano) è stata tradita dai numerosi clichè inseriti. Seppur WWF affianchi alla promozione del film il progetto “Adotta un lupo” (un nome tremendamente discordante col filo conduttore del film), i predatori di Annaud paiono in tutto e per tutto la reincarnazione dei lupi cattivi delle fiabe e/o delle narrazioni rurali frutto di un retaggio culturale europeo. Difatti durante tutta la proiezione non ho potuto fare a meno di associarli mentalmente a  “Cappuccetto Rosso” o “I tre Porcellini”.

Fuori dal set, però, il regista dichiara paradossalmente di aver stretto un rapporto di fiducia ad amicizia con il capobranco Cloudy e con Silver, la sua compagna, e che addirittura “lo salutavano saltandogli addosso e leccandolo”.

Jean-Jacques Annaud,  intervistato, sostiene che L’ultimo lupo sia un film cinese, adducendo che in Germania “Il nome della Rosa” sia considerato un film tedesco. Guardandolo ho avuto la netta impressione che la pellicola fosse più vicina al mondo occidentale che a quello orientale e per questo pur non avendo letto il libro di Jiamin ho modo di supporre che se ne distacchi, anche se rimane mirabile la perizia nel cercare di trasmettere la filosofia etica e morale cinese, insieme all’impegno considerevole di riproporre le sfumature della dizione cinese/mongola, caratteristiche entrambe che il doppiaggio italiano – purtroppo – smarrisce completamente. Giudico il film carente di emozionalità: nonostante le scene forti e crude proposte, i lupi utilizzati dal regista francese sono chiaramente esemplari addestrati, seguiti a distanza da un’ equipe preparata, che trasmettono indipendenza e supremazia e non fanno molto per distaccarsi dal prototipo classico di animale “pericoloso” e difficile da gestire. Si ammirano a distanza ma non si amano, non si riesce a condividere le loro vicende, così come non si riesce (e penso che questo sia un effetto voluto) ad affezionarsi a Chen o al suo cucciolo. Ci appaiono distanti e poco condivisibili, non vi è una vera relazione “uomo-animale”, se non quella del rispetto reciproco, tanto che, dulcis in fundo, ho giudicato perfino ingiusta la decisione di tenere il cucciolo, costringerlo ad una vita in gabbia, perché appunto come sintetizzato nella locandina: “non si cattura un dio per farne uno schiavo”; e qui si chiude il cerchio. Se Chen avesse deciso di tenersi, com’era giusto che fosse, uno dei cuccioli che la cagna di Gasma aveva appena partorito, non potremmo raccontare questa storia.

Susanna Zandonà


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