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Peter Bogdanovich ha illuminato l'ultima Mostra di Venezia con la leggerezza e il brio della sua ultima fatica She's Funny That Way, dimostrando che a 75 anni e dopo 13 di silenzio, ha ancora qualcosa da dire, e lo sa fare in un modo fantastico.
Cercando di scoprire un po' di più su questo eclettico regista che dopo molte commedie è diventato un personaggio della serie I Soprano, e si è un po' perso in progetti non fortunatissimi, sono andata a recuperare uno dei suoi lavori più acclamati, che dal 1998 viene conservato nella National Film Registry della Biblioteca del Congresso.
L'ultimo spettacolo disorienta.
E non poco.
Quel bianco e nero sopraffine, quelle atmosfere retrò, ce lo fanno davvero credere come un film datato anni '50, in cui la morale americana, e il politicamente corretto, dilagavano anche al cinema.
Ma quando ai più classici e casti sbaciucchiamenti nell'ultima fila della sala cinematografica, segue l'appartamento in auto su una collina, la nudità della protagonista, per nulla velata, ci fa capire che no, gli anni '50 e il loro perbenismo sono finiti da un pezzo, e anche se è nel 1951 che il film viene ambientato, il suo essere girato nei tumultuosi anni '70 non va ignorato.
Quello che Bogdanovich fa, è togliere quella patina di pudore, mostrando tutto quello che anche una comunità piccola e isolata come quella di Anarene, Texas nascondeva.
E così i giovani si scambiano le ragazze, vanno a rimorchiare donne più mature e sposate, le madri spingono le figlie a godersi la vita, ma a stare attente con il sesso, le feste si trasformano in festicciole a base di nudismo... tempi moderni, non c'è che dire.
Ed è questo che sicuramente più funziona ne L'Ultimo spettacolo, descrivere per ciò che erano quei tempi, non poi così diversi dall'oggi, con le bravate e i tumulti amorosi a farla da padrone.
Ma c'è qualcosa di più oltre allo scoperchiare segreti e togliere i veli, c'è quella sensazione malinconica e struggente che colpisce, e che si fa strada soprattutto nella seconda parte del film, dove l'amicizia dei due protagonisti Sonny e Duanne si perde per strada, dove la donna che entrambi da sempre amano si mette in mezzo e dove la morte del saggio Sam il leone segna inequivocabilmente la fine della loro spensieratezza, come se quel viaggio in Messico fosse la loro ultima tappa, e come se il fantasma della Guerra in Corea e la chiamata alle armi aleggiasse già nell'aria.
Ancora più forte, la sensazione che non solo le colpe dei genitori ricadranno sui figli, ma che quello che padri e madri sono, a tempo debito saranno anche la loro progenie, con errori e scelte che si ripetono, con un destino che sembra già scritto e là ad attenderli.
Nonostante una lunghezza che si fa sentire proprio in quest'ultima parte, L'ultimo spettacolo mantiene a distanza di più di 40 anni la capacità di essere fuori dalle regole pur seguendole, e mantiene soprattutto una bellezza data da quel bianco e nero così ben dosato e che incornicia alla perfezione la bellezza mai esplosa di Cybill Shepherd, dando a un irriconoscibile Jeff Bridges il primo ruolo chiave di una lunghissima carriera.
E quando anche il cinema della città chiude, con il finale de Il fiume rosso a rendere più significativo il tutto, quando il bus che porta alla guerra passa a ritirare i prescelti, anche l'innocenza muore.
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