L’undicesimo giorno della tigre
aprile 24, 2011
Appena pubblicato il post precedente, leggo questo scritto di un mio amico algerino… alla faccia di chi mi ripete in continuazione che devo smettere di legare la politica alla letteratura.
(L’articolo è stato pubblicato su Le quotidien d’Oran il 23 aprile)
L’undicesimo giorno delle tigri
di K. Selim
Un racconto di incredibile concisione del siriano Zakariya Tamir, un favoloso creatore autodidatta, racconta come un domatore, circondato dai suoi allievi faccia piegare una tigre in dieci giorni. Dieci giorni di tortura ordinaria inflitta al cittadino arabo: disprezzo, obbligo di ascoltare i discorsi del capo. La tigre fa la fiera, ma il domatore ha esperienza e comincia ad affamarla e infine a forzarla a mangiare erba.
“Il decimo giorno delle tigri”, racconto apparso nel 1978, raccontava in modo esasperato dell’oppressione dell’individuo da parte di una macchina politico-poliziesca che sembrava, all’epoca, disporre dell’eternità davanti a sé. E che si dava i mezzi per domare le società e ottenerne consenso. Questo racconto narra l’impresa assoluta degli apparati di potere, dove il solo succedaneo di felicità individuale risiedeva nella sottomissione.
Zakariya Tamir, che ha dovuto scegliere l’esilio per evitare di essere domato, ha forse sognato che il decimo giorno della tigre non fosse definitivo e che ce ne sarebbe stato un undicesimo. Il domatore – il regime – ha troppo abusato della sua posizione di forza presunta e soprattutto della pazienza delle tigri siriane, che si erano messe a mangiare erba in considerazione dell’ambiente ostile nel quale si trova il loro paese. Ormai non l’accettano più.
E il racconto di Tamer ha un seguito. L’undicesimo giorno le tigri scoprirono che il paese erano loro e che i loro morti, per annullamento, per sottomissione, erano la morte di tutti. Decisero di non ascoltare più i discorsi del domatore, di non brucare più l’erba e di essere quello che la natura ha fatto di loro: creature libere.
L’undicesimo giorno le tigri siriane hanno manifestato e sono morte. Convinte che senza libertà e senza dignità sono già morte. L’undicesimo giorno le tigri di Siria hanno cessato di avere paura. Non vogliono lasciare il tempo al domatore di ristabilire la situazione di ricreare quella paura di morire che è peggio della morte. I siriani queste tigri dell’undicesimo giorno, sono in un tempo che il domtore non riesce ancora a immaginare, quella della sua messa in disoccupazione, dell’inutilità del suo sapere e della vacuità di una vita muta.
Il “giovane” Bashar al-Asad non si rende ancora contro che gli apparati politico-polizieschi hanno perso il potere d’ispirare la paura con la loro sola esistenza e con la violenza “esemplare” destinata a paralizzare i velleitari. Il potere-domatore reprime e la rabbia di libertà e di dignità del cittadino-tigre si gonfia.
Bashar al-Asad toglie lo stato di emergenza mentre i “domatori” sparano pallottole vere: i siriani non hanno bisogno di altri segnali per indovinare che il regime cerca di guadagnare tempo, sperando in una seconda onda per ristabilire il governo con la paura. Proprio per questo i siriani ritengono che dopo tutti questi morti, nessuna marcia indeitro sia ormai possibile.
Il regime ha ancora –forse – una possibilità per negoziare un vero cambiamento. Ma questa possibilità si assottiglia di giorno in giorno. Il regime non ha capito che la tigre siriana non vuole più tornare al decimo giorno.
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