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L’Ungheria, l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale

Creato il 04 aprile 2012 da Eurasia @eurasiarivista
Ungheria :::: Andrea Turi :::: 4 aprile, 2012 :::: Email This Post   Print This Post L’Ungheria, l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale

Sembrano tramontati i tempi in cui l’Ungheria anelava ad un ingresso ad ogni costo in Europa: “l’Ungheria non è una colonia” ha tuonato il primo ministro Orbán durante le celebrazioni della festa nazionale per il ricordo della rivoluzione del 1848, paragonando l’Unione Europea all’Unione Sovietica. L’idillio con le istituzioni comunitarie è, quindi, terminato: a questa situazione hanno contribuito, oltre alla svolta nazionalista della Costituzione, le tre procedure di infrazione avviate da Bruxelles nei confronti dell’Ungheria e la minaccia, ormai divenuta realtà, del blocco dei fondi destinati ad aiutare l’economia ungherese in recessione.

La Commissione Europea ha messo in dubbio la compatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni costituzionali che regolano le funzioni della banca centrale di Budapest, l’organizzazione complessiva del sistema giudiziario e la ristrutturazione dell’autorità nazionale garante dei dati personali. Il Presidente Barroso ha dichiarato a mezzo comunicato stampa “che come tutti gli Stati membri, l’Ungheria è tenuta – in virtù dei trattati UE – a garantire l’indipendenza della propria banca centrale nazionale, l’indipendenza della propria autorità responsabile della protezione dei dati e la non discriminazione dei propri giudici. La Commissione è determinata a prendere tutti i provvedimenti giuridici necessari per garantire la compatibilità con la legislazione dell’Unione europea ”.

E’ notizia di questi ultimi giorni che l’Ecofin del mese di marzo ha deciso di bloccare nel 2013 i fondi di coesione all’Ungheria: le sanzioni avranno una ripercussione pesante sulle casse dello Stato magiaro e, per evitare che la situazione (già peraltro assai critica) precipiti, il premier Orban dovrà cercare di riallacciare i rapporti con il Fondo Monetario Internazionale.

Ma quale è il problema reale? Il vero problema è puramente economico ed è legato all’entrata in vigore della nuova Costituzione ungherese e ad una serie di leggi che prevedono la riforma della Banca Centrale (Magyar Nemzeti Bank, “Banca Nazionale Ungherese”): l’esecutivo di Budapest cerca di accentuare l’influenza politica su una istituzione che non viene eletta dalla popolazione. Con le nuove disposizioni, infatti, il Consiglio Monetario, organo cui spettano le decisioni in materia di politica dei tassi di interesse, sarà composto da nove membri nominati in maggioranza dal Parlamento e dal Governo. Quale è la conseguenza di questa riforma? Semplice: la Banca Centrale di Ungheria viene, di fatto, svincolata dal controllo della Banca Centrale Europea e diviene una istituzione controllata dall’esecutivo di Orbán. La riforma della Banca Centrale è stata seguita dal declassamento delle agenzie di rating e, vista la corsa al rialzo dei tassi di interesse da pagare sul debito pubblico, il rischio di una nuova situazione di stampo greco sembra profilarsi all’orizzonte: l’eventuale default ungherese porterebbe al collasso dell’intero sistema europeo e darebbe il colpo di grazia all’esperienza dell’Unione Europea e della moneta unica. Questa è la reale preoccupazione che anima Bruxelles, preoccupazione economica mascherata da dubbi politico-sociali relativi alla forte sterzata in senso nazionalistico della Costituzione ungherese; non è tanto la natura dell’intera riforma del documento fondante dello Stato quanto le modifiche relative alla Banca Centrale Ungherese a dare i maggiori grattacapi. L’Unione Europea ha sospeso la procedura di infrazione riguardante la venuta meno dell’autonomia della Magyar Nemzeti Bank perchè Budapest si è impegnata a rivedere le norme in materia: “l’Ungheria ha bisogno di un accordo al più presto possibile con il Fmi e con la Ue per la concessione di un prestito” (1) ha avvertito il negoziatore magiaro Tamos Fellegi, smentendo la linea intransigente del premier Orbán.

Christine Lagarde ha dichiarato in seguito all’incontro con Fellegi che “prima che il Fondo Monetario Internazionale possa determinare se e quando iniziare le negoziazioni per un accordo di stand-by, avrà bisogno di vedere passi concreti che mostrino la volontà forte delle autorità per impegnarsi su tutti i problemi di policy che sono rilevanti per la stabilità macroeconomica” (2). Quindi, i 20 miliardi di dollari necessari al salvataggio di Budapest arriveranno solo in cambio di modifiche sostanziali in materia finanziaria e di Banca Centrale.

La nuova Costituzione

Nei giorni 11 e 25 aprile del 2010, alla regolare scadenza del mandato quadriennale dell’Assemblea Nazionale, sono stati rinnovati i 386 seggi di cui si compone il Parlamento monocamerale ungherese. Il Partito Socialista Ungherese (MSzP) ha lasciato il potere al maggior partito di opposizione, la Federazione dei Giovani Democratici – Unione Civica Ungherese (Fidesz – KDNP) di Viktor Orbán, di orientamento conservatore, che ha stravinto la sesta elezione democratica dalla fine del regime comunista: con 172 seggi uninominali nazionali, 87 derivanti da liste regionali e con 3 seggi recuperati con gli scarti a livello nazionale il Fidesz ha conquistato la maggioranza qualificata dei seggi parlamentari, fatto non da poco se si considera che il controllo dei 2/3 dell’Assemblea Nazionale, oltre alla possibilità di costituire un governo monocolore, il primo dal ritorno dell’Ungheria alla democrazia, permette alla coalizione che li ottiene di riformare la costituzione in totale autonomia, senza dover scendere a compromessi con l’opposizione.(3)

L’anomalia ungherese

Con l’inizio del 2012 è entrata in vigore la nuova carta costituzionale ungherese, votata dall’Assemblea Nazionale il 18 aprile 2011 e firmata il 25 dello stesso mese (il lunedì dell’Angelo: il giorno della Risurrezione di Gesù Cristo diventa simbolo della Resurrezione della nazione ungherese) dal Presidente della repubblica magiara Pàl Schmitt.

L’approvazione del nuovo testo costituzionale (266 voti favorevoli contro i 44 del partito di estrema destra Jobbik, mentre socialisti e verdi-liberali hanno boicottato la votazione finale del testo) ha sanato un’anomalia tutta ungherese: l’Ungheria, infatti, è stato il primo paese ad emanciparsi dal regime comunista con la prima tornata elettorale democratica del marzo–aprile 1990, ma finora era rimasta l’unico Paese dell’ex blocco sovietico a non dotarsi di una nuova Carta fondamentale, mantenendo in essere, anche se ampiamente emendata, quella comunista del 1949.

Le modifiche al testo del 1949, apportate con lo scopo di promuovere una transizione politica pacifica da realizzare all’interno di un sistema multipartitico, parlamentare, democratico e basato sull’economia di mercato, sono state frutto di emendamenti decisi in base a compromessi tra il Partito Socialista Ungherese e gli altri partiti, creati durante tavole rotonde di trattativa tra forze politiche e votati in parlamento per la ratifica: in Ungheria la nuova Carta Costituzionale è stata fino ad oggi un continuo processo in fieri (4) . La precedente Costituzione dichiarava infatti, nel Preambolo, il proprio carattere provvisorio: il testo sarebbe rimasto in vigore finio all’adozione di una nuova carta costituzionale.

Con la schiacciante vittoria alle elezioni, il conseguimento dei 2/3 dei seggi parlamentari e la possibilità di superare la mancanza di spinta riformatrice che aveva fatto naufragare i precedenti tentativi di rinnovare la legge fondamentale del Paese, il primo ministro Orban ha subito spinto per rendere nullo il precedente documento (“noi non riconosciamo la costituzione comunista del 1949, perché era il fondamento di un governo tirannico; quindi la dichiariamo decaduta”) e adottarne uno nuovo. Un atto dovuto per il primo ministro ungherese e leader del Fidesz.

Le novità del testo costituzionale

“È un testo anche esteticamente molto bello. I tempi in cui la magiarità era schiacciata sono ora passati con questa identificazione di fede nazionale” (5): con queste parole il premier Orban descrive la Costituzione entrata in vigore il primo giorno dell’anno che consta di 105 articoli.

Ad una prima analisi non può non risaltare all’occhio la quantomeno inusuale numerazione degli articoli.

Infatti, dopo il credo nazionale, che individua i membri della nazione ungherese e dichiara l’Ungheria un paese cristiano, attivo nel sostenere le famiglie, che rispetta la legittimità dell’insurrezione del 1956 contro l’occupazione sovietica e adotta la Sacra Corona come simbolo di unità nazionale, il testo si sviluppa in tre parti: la prima, identificata dalle lettere dell’alfabeto (A-T), riguarda i principi fondamentali; la seconda tratta dei diritti – doveri dei cittadini e dello Stato e viene identificata con la numerazione romana (I – XXXI); la terza ed ultima parte del testo tratta, invece, dell’ordinamento istituzionale e viene identificata con i numeri arabi, dall’1 al 54.

Il testo pone il suo impianto nazionalistico sotto l’invocazione a Dio, chiamato a proteggere il popolo ungherese, ed esprime i valori cardine riconosciuti come tali dalla stragrande maggioranza degli Ungheresi: si trova infatti nel preambolo il riferimento al Re Santo Stefano, primo re degli ungheresi, che cristianizzò l’Ungheria nel X secolo e costruì uno Stato ungherese con solide basi fino a farlo divenire parte dell’Europa di fede cristiana. Proseguendo nella lettura ci si imbatte nella seguente dichiarazione: “Riconosciamo il ruolo del cristianesimo nella preservazione della nazione” mentre le altre religioni presenti entro i confini nazionali vengono rispettate. Questa apertura ai valori del Cristianesimo ha fatto esprimere in termini entusiastici la Chiesa di Budapest che attraverso le parole del vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Esztergom-Budapest, monsignor János Székely, si è espressa a favore della nuova Carta costituzionale: “La nuova Costituzione di Ungheria approvata nel 2011, che inizia con il nome di Dio nel preambolo, afferma che la vita umana è da difendere fin dal concepimento e dichiara che l’Ungheria difende l’istituzione familiare, la quale è un’alleanza di vita fra un uomo e una donna.
La Costituzione precisa inoltre che la famiglia è il fondamento della sopravvivenza del popolo, e che nello stabilire delle tasse, anche i costi dell’educazione dei figli devono essere presi in considerazione. E’ chiaro che a molti intellettuali europei non piace tale affermazione di valori fondamentali, anzi li stimola all’attacco”
(6) . Nel preambolo si legge che la famiglia è la cornice di riferimento della coesistenza del popolo ungherese, mentre nel testo approvato dall’Assemblea Nazionale si stabilisce che “la dignità umana è inviolabile” e che ogni essere umano ha il diritto alla vita e alla dignità, per cui il diritto alla vita viene esteso all’embrione ed al feto a partire dal momento del concepimento (articolo II); l’articolo L si occupa del matrimonio, rifiutando le unioni omosessuali: “l’Ungheria deve proteggere l’istituzione del matrimonio come l’unione di un uomo con una donna stabilita con volontaria decisione”.

L’articolo VII, invece, definisce i rapporti tra Stato e Chiesa sul modello della Costituzione spagnola (7) : le due istituzioni sono separate ed autonome, ma si prevedono forme di cooperazione per scopi collettivi.

Se nella costituzione del 1949 l’Ungheria era denominata ufficialmente con il nome di Repubblica di Ungheria, adesso questa diventa semplicemente Ungheria: cambia il nome, ma la forma istituzionale rimane invariata, dal momento che l’articolo B dispone che l‘Ungheria è una repubblica indipendente, democratica e governata dallo Stato di Diritto. L’intento sottostante la decisione della denominazione ufficiale sembra essere quello di prendere le distanze dalle precedenti esperienze vissute dal Paese e di richiamare un nome, Ungheria, che evoca i fasti e la grandezza del passato. In quest’ottica rientra il rilancio del tema della Grande Ungheria e dello smembramento avvenuto nel 1920 in seguito al Trattato di Trianon, con il quale le potenze vincitrici della Grande Guerra decisero le sorti dell’impero austro-ungarico. Si legge, infatti, che l’Ungheria deve accollarsi la responsabilità del futuro degli ungheresi che vivono fuori dai confini dello Stato (articolo D) e sforzarsi per preservare la loro identità nazionale: in questa luce, non è dunque un caso che uno dei primi provvedimenti del governo Orbán sia stato quello di riconoscere la cittadinanza a quegli ungheresi che vivono all’estero e possono dimostrare di avere antenati magiari e di padroneggiare la lingua magiara.

Il testo della Costituzione non nasconde la diffidenza nei confronti dell’euro laddove viene precisato che il fiorino è la moneta dell’Ungheria (articolo K).

I poteri limitati della Corte Costituzionale

In alcuni Paesi appartenenti all’ex blocco sovietico le Corti Costituzionali hanno avuto un ruolo determinante nel promuovere la transizione ai regimi democratici. L’Ungheria è uno di questi ed è, anzi, il migliore esempio: “the Hungarian Constitutional Court, through the 1990s, pratically ran Hungary” (8). Tutto cambia con la nuova Costituzione voluta da Orbán: la limitazione dell’importanza della corte è sancita anche dalla disposizione del capitolo a questa dedicato: nella precedente Costituzione i capitoli rispecchiavano la gerarchia dei poteri dello Stato ungherese (Parlamento, Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, Governo) mentre nel nuovo testo il capitolo relativo al Governo scavalca quello relativo alla Corte Costituzionale.

Per il sistema di giustizia costituzionale le novità riguardano le modalità di accesso, il numero dei giudici (da 12 a 15 con aumento della durata del mandato da 9 a 12 anni) e le materie su cui sarà ammesso il ricorso per la verifica di costituzionalità. Per quanto riguarda le modalità di accesso alla giustizia costituzionale c’è da registrare il fatto che non esisterà più l’istituto dell’azione popolare, previsto dalla precedente Costituzione, il quale prevedeva che chiunque potesse rivolgersi alla Corte contro qualsiasi atto che ritenesse contrario alla Carta fondamentale dello Stato; per quanto riguarda le materie in cui la Corte può intervenire bisogna far riferimento all’articolo 37, che impedisce il controllo di legittimità costituzionale sulle leggi di natura tributaria e finanziaria nel caso in cui il debito pubblico superi la metà del prodotto interno lordo. Nel contempo, però, è stato introdotto l’obbligo della maggioranza qualificata su varie tematiche (tra cui, di nuovo, quella delle tasse); norma, questa, che andrebbe a rendere le riforme dell’attuale Governo immodificabili, quasi blindate.


NOTE:

1. Andrea Tarquini, L’Ungheria sull’orlo del baratro.”Serve un prestito da Fmi e Ue”, ilgiornale.it, 5 gennaio 2012, http://www.repubblica.it/economia/2012/01/05/news/ungheria_crisi-27625091/

2.http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/economia/2012/01/13/visualizza_new.html_44114231.html

3. Denominazione dei Partiti e risultati elettorali ripresi da Silvia Bolgherini, Le elezioni nel mondo – Ungheria, in Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, giugno 2011, pp. 138 -139.

4. Gabor Halmai, The Reform of Constitutional law in Hungary after transition, in Legal Studies, volume 18, numero 2, p. 189.

5. A. Tarquini, Ungheria, Costituzione ultraconservatrice Dio, etica e bavaglio a stampa e pm, La Repubblica.it, 19 aprile 2011

6. Agenzia Stampa ASCA, Ungheria/ Chiesa di Budapest elogia Costituzione: Difende valori vita, 13 gennaio 2012. (http://www.asca.it/news-Ungheria__vescovo_Europa_attacca_Costituzione_perche__difende_valori_vit-1113352-ATT.html)

7. Articolo 16 comma 3 della Costituzione della Spagna:
“nessuna confessione avrà carattere statale. I pubblici poteri terranno conto delle convinzioni religiose della società spagnola e manterranno le conseguenti relazioni di cooperazione con la Chiesa cattolica e le altre confessioni”.
Costituzione della Spagna, in (a cura di) Cerrina Feroni – Frosini – Torre, Codice delle Costituzioni – volume 1, Giappichelli, Torino, 2009, p. 234.

8. James T. Richardson, Religion, Constitutional Courts, and Democracy in Former Communist Countries, in “Annals of the American Academy of Political and Social Science”, volume 603, gennaio 2006, p. 134.

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