Quando entrò il cane ebbe un movimento inquieto e lui presagì che forse non le avrebbe permesso di sedere. Invece si posò sulla poltrona e lasciò la borsa sulle gambe e un'aria di fiori intorno. Un'unghia dipinta e mangiata cercò qualcosa nella fenditura della gonna, sulla coscia, poi tornò alle corrette latitudini. Lui notò la pervinca leggera delle vene dei polsi, il collo troppo sottile, la testa troppo grande e non capì che era cresciuto un silenzio, che stava montando una sete in cui avrebbe dovuto muoversi con molta attenzione. Del resto aveva da lavorare. Continuò a raschiare la sua statua di legno, incise la linea dell'occhio e il cerchio delle narici. Poi passò alla bocca e piccole pellicine secche si staccarono dal corpo resinoso, con un suono crepitante, quasi di carta. Il cane sempre più preoccupato gli si fece prossimo, la presenza di lei, seduta, solo seduta, ingigantiva. Allora fu sopraffatto da una tenerezza gelosa come la rabbia.