Al centro della regione del Sahel, il Niger sta fronteggiando negli ultimi anni l’inarrestabile flusso migratorio dei cittadini maliani e nigeriani che fuggono e chiedono asilo a causa dello scoppio delle ostilità nei rispettivi Paesi d’origine. La gestione dell’emergenza rifugiati rientra nel mandato dell’UNHCR, che è dovuta intervenire su un terreno già di per sé labile e critico. La volontà di conseguire e preservare una sana collaborazione con la comunità locale rappresenta una delle priorità strategiche dell’Organizzazione la quale, facendosi promotrice di un approccio comunitario, ha escogitato soluzioni efficaci che non solo rispondano alle esigenze dei gruppi vulnerabili, ma le soppesino alle necessità avvertite da una popolazione sinceramente provata dalla decennale situazione di sottosviluppo che contraddistingue il Niger. Questo approccio rappresenta la chiave di volta per garantire la stabilità del Paese, evitando di aggravare la precaria situazione in cui versa l’intero Sahel.
Negli ultimi anni il Niger, a dispetto di una non troppo latente condizione di sottosviluppo che lo colloca al nadir della classifica mondiale per PIL1 , si è “arrangiato” a bacino di accoglienza per tutti i cittadini maliani e nigeriani in cerca di riparo dai disordini interni. Le crisi endogene hanno avuto casus belli, tempi e iter diversi e l’auspicabile ricerca di stabilità stenta a ottenere risultati equivalenti nei due Paesi.
All’inizio del 2012 in Mali, a causa dello scoppio delle ostilità tra i ribelli armati e le forze governative nel nord del Paese, più di 200.000 persone sono fuggite e hanno trovato rifugio nei Paesi confinanti, come il Niger. L’ondata migratoria non si è arrestata, ma anzi si è ingrossata nel mese di marzo dello stesso anno, al peggiorare delle condizioni di stabilità del Paese. Successivamente, la tensione è aumentata dopo che i ribelli tuareg, alleatisi con alcune fazioni fondamentaliste che avevano aderito all’Aqmi, hanno preso il controllo di parte del territorio, dichiarando l’indipendenza della zona nord del Paese. Nel gennaio 2013, facendo seguito alla richiesta di aiuto del governo maliano e sotto gli auspici delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU, è scattata l’Operazione Serval, sotto egida francese, che è riuscita a ripristinare un seppur fragile ordine nella regione. Le elezioni presidenziali dell’estate 2013 e alcuni miglioramenti nel nord del Paese avevano incoraggiato un crescente numero di persone a tentare la via del ritorno, ma negli ultimi tempi lo stato di insicurezza è tornato a insidiare alcune aree del territorio2: a fronteggiarsi non sono solo l’esercito maliano e i separatisti del nord, ma si sta configurando una vera guerra tribale dove in ballo non è più solo l’indipendenza del settentrione, ma anche la supremazia di un clan sull’altro. Dal mese di gennaio, infatti, si sono moltiplicati gli scontri che hanno coinvolto da un lato la c.d. Piattaforma del 14 luglio, una coalizione tra gruppi tuareg, i “Gatia”, e il Movimento arabo di autodifesa, e dall’altro il Coordinamento dei movimenti dell’Azawad che riunisce gli omonimi Movimento Nazionale per la Liberazione, l’Alto Consiglio per l’Unità e il Movimento arabo. In questo momento i rifugiati maliani residenti in Niger sono circa 37.000, ma dovrebbero scendere ai 22.000 attesi per il mese di dicembre secondo le previsioni dell’UNHCR.
In Nigeria, dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nel maggio 2013 per il nord-est del Paese – corrispondente agli Stati dell’Adamawa, del Borno e dello Yobe – si è assistito alla fuga di oltre 30.000 persone, di cui circa il 50% erano cittadini nigerini trasferiti anni prima, e la maggior parte è stata accolta nella regione di Diffa, nel sud sud-est del Niger. L’ultimo attacco di Boko Haram risale allo scorso 3 gennaio alla città di Baga, nello stato del Borno3 , rendendo oggi tutt’altro che percorribili le prospettive di rimpatrio e mantenendo dunque inalterato il numero dei soggiornanti nigeriani, che secondo le stime dell’UNHCR si dovrebbe assestare sulle 16.000 unità nel corso dell’intero anno.
La presenza strutturale della United Nations High Commission for Refugees – UNHCR in Niger, essendo l’agenzia uno degli attori principali dello Humanitarian Country Team, nonché leader del gruppo di lavoro che collabora con la Commission nationale d’éligibilité au statut de réfugiés4 , si è prontamente attivata al fine di fronteggiare le situazioni di emergenza che hanno colto alla sprovvista le autorità nigerine.
La turbolenta situazione dei Paesi di origine dei rifugiati si è riflettuta sulle modalità d’azione dell’UNHCR, che si è mossa su rotte parzialmente differenti per far fronte alle specificità dei due gruppi vulnerabili, canalizzandole tuttavia all’interno dell’approccio globale pianificato per gestione dei rifugiati nel continente africano: il mantenimento della pace, il contrasto alla violenza di genere, l’assistenza per i bisogni primari, la ricerca di soluzioni durevoli, il contenimento dell’apolidia e la costruzione di partnership con i governi restano gli obiettivi che l’agenzia delle Nazioni Unite ha avvallato anche per il 20155.
Analizzare l’amministrazione delle due emergenze consente di valutare positivamente la prontezza e l’efficacia delle risposte messe in atto dall’UNHCR, che si è ritrovata ad agire in un contesto sfavorevole e potenzialmente ostile e rispetto al quale il successo delle operazioni è stato largamente agevolato dalla collaborazione con le comunità locali.
L’UNHCR ha potuto contare sulla disponibilità della popolazione ad accogliere i fuggitivi, nonostante lo stato di cronica insicurezza alimentare in cui ristagnano le migliaia famiglie nigerine, e in più occasioni ha elogiato la solidarietà e la generosità dimostrate dal popolo e dal governo. Si è determinato un clima di sinergia tale tra i rifugiati e la gente del posto che l’UNHCR non ha potuto ignorarla, concentrandosi sul rafforzamento delle capacità di recupero degli uni come degli altri. L’agenzia delle Nazioni Unite ha delineato un approccio comunitario, che trova la propria ratio nel conseguimento della coesistenza pacifica tra ospitati e ospitanti, poiché solo qualora le esigenze abitative, alimentari, di sicurezza e di salute di entrambi siano soddisfatte, le due comunità potranno beneficiare ugualmente del sostegno dell’UNHCR6 . Questa metodologia d’azione sembra far proprio un concetto bi-direzionale: si compie uno scambio tra eguali, dove il sostegno di cui godrebbe esclusivamente il rifugiato è messo a disposizione del cittadino, ma questi lo “baratta” aprendosi positivamente alle logiche di accoglienza e di integrazione. Per sviluppare un approccio coerente l’UNHCR deve rispondere a una serie di impegni, quali: ridurre il senso di isolamento tra le persone, sostenendo l’insegnamento della lingua locale e creando luoghi di incontro informali possibilmente in aree neutre; incoraggiare la formazione di gruppi di interesse e di associazioni in cui i membri delle due comunità possano partecipare e lavorare congiuntamente, nonché identificare partner e istituzioni che operino nei diversi settori della società promuovendo la cooperazione tra i principali attori fornitori di servizi7. Tale strategia, che è stata già adottata nella gestione dei rifugiati in alcune aree del Kenya nel biennio 2005-20078 , ha trovato terreno fertile in Niger, dove l’economia è fortemente agricola, e giovare di un aiuto esterno può dare un respiro di sollievo.
Di certo, la solidarietà della comunità locale ha rappresentato un fattore chiave per garantire il successo delle strategie di accoglienza, ma si tratta di un elemento che – per quanto auspicabile – è pur sempre imprevedibile e volubile. In una situazione come quella del Niger, in cui le risorse sono drammaticamente scarse, il sopraggiungere dei rifugiati è andato a gravare ulteriormente sulle spalle della gente e l’atteggiamento di apertura nei confronti degli ultimi arrivati non può essere dato per scontato. Non solo è necessario curare questo sentimento, ma renderlo punto di partenza privilegiato per avviare soluzioni più efficaci.
Sin dal principio delle operazioni, una buona strategia di gestione dell’emergenza deve coinvolgere i rifugiati in tutte le iniziative destinate a sopperire ai loro bisogni, poiché solo preservando il loro senso di dignità e la loro determinazione se ne incoraggerebbe l’autosufficienza. Nel perseguire tale status è utile comprendere il ruolo socio-economico di tutti i rifugiati, poiché ogni gruppo ha esigenze particolari e solo rispondendovi coerentemente è possibile che esso raggiunga un adeguato livello di autonomia e di resilienza9. Il conseguimento di quest’ultime è stato fatto proprio dallo UNHCR’s Global Appeal quale uno degli obiettivi per il Niger nel biennio 2014/2015, con riguardo sia ai rifugiati maliani che nigeriani10.
Sulla scia di questi presupposti, è stato molto interessante l’esperimento delle c.d. Zones d’accueil des Réfugiés – ZAR. La zone d’accueil è un nuovo concetto sviluppato dall’UNHCR, di concerto con il governo nigerino, per andare in contro allo stile di vita di alcuni rifugiati, quali quelli di etnia tuareg, nomadi e dediti ad attività agro-pastorali. La ZAR si differenzia dalla tradizionale organizzazione di un campo per rifugiati poiché consente alle persone di stabilirsi liberamente all’interno di una vasta area di pascolo con il loro bestiame, adattandosi così alle loro abitudini socio-culturali ed economiche11. La prima zone d’accueil è stata aperta nel Intekan nell’aprile 2013 con il trasferimento nell’area di circa 8.000 persone, mentre una seconda area è stata aperta nel Tazalite, sempre nella regione di Tahoua, nel giugno 201312. La creazione di queste ZAR ha permesso alle popolazioni tuareg di essere meno dipendenti dagli aiuti umanitari, favorendone effettivamente l’autonomia e la resilienza, così come confermato dai risultati di un sondaggio condotto congiuntamente dall’Institut de formation et de recherche demographique e dall’UNHCR nell’agosto 201313.
Il successo di questo esperimento non toglie che gli escamotage per l’accoglienza dei rifugiati rappresentino comunque una soluzione transitoria: sfuggire al richiamo della patria è estremamente difficile. Episodi di ritorno spontaneo si sono registrati indistintamente da parte dei due gruppi fuggitivi e l’UNHCR, a seguito di una consultazione triangolare con il Paese di accoglienza e quelli di origine, ha fornito informazioni ai rifugiati sia sulla situazione nelle zone di provenienza, sia sulle attività in corso volte a migliorarne le condizioni14, onde valutare consapevolmente le prospettive di ritorno.
A seguito del lieve miglioramento nel Paese tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, l’UNHCR ha avvallato una strategia regionale di ritorno e reintegrazione per i cittadini maliani, che ha portato alla conclusione di un accordo tripartito, sottoscritto il 3 maggio 2014, tra l’agenzia ONU e i governi del Niger e del Mali15. L’accordo è stato accolto con favore, avendo fornito un quadro giuridico ai rimpatri che spontaneamente erano già in corso dal 2013, nonché una protezione aggiuntiva per i rimpatriati stessi. Tuttavia l’UNHCR non è ancora favorevole a promuovere ritorni in massa, a fronte della precaria stabilità che mina l’intero Sahel, stabilendo che per il 2015 saranno massimo 10.000 i maliani a poter intraprendere la via del ritorno16.
La Nigeria è invece in pieno stato emergenziale e la situazione appare oggi ancor meno incoraggiante. L’UNHCR ha espresso sentita preoccupazione per il ritorno di centinaia di profughi nigeriani dall’inizio del 2015, esortando addirittura le autorità dei due Paesi ad arrestare i fenomeni di rimpatrio. Come sottolineato dal portavoce dell’UNHCR William Splinder, sarebbe auspicabile che le autorità si adoperassero per fermare l’operazione fino a quando non ci si doterà di adeguate garanzie di sicurezza e di un quadro normativo tripartito che disciplini il ritorno dei rifugiati nigeriani, replicando quanto è già stato compiuto per i rifugiati del Mali17.
Nel cuore del Sahel, la gestione dell’emergenza in Niger, costretto tra due fuochi, è al centro della strategia per il conseguimento della stabilità nella regione. Il tentativo di conseguire e preservare una sana collaborazione con la comunità locale rientra tra le priorità strategiche dell’UNHCR. L’organizzazione delle Zones d’accueil de Réfugiés e la conclusione di accordi per il ritorno volontario assistito rappresentano soluzioni che non solo rispondano alle esigenze dei gruppi vulnerabili, ma le soppesino rispetto alle necessità avvertite da una popolazione già duramente provata dall’incurabile arretratezza che logora il Paese, tentando di sgravarla parzialmente dagli oneri dell’accoglienza. É probabile che l’approccio comunitario si ponga quale obiettivo imprescindibile per garantire che la stabilità del Paese non degeneri nel caos, inasprendo la già precaria situazione in cui versa la regione del Sahel.