Sassu, Via Manzoni, 1952, olio su tela, Archivio Aligi Sassu, Carate Brianza
In un momento in cui tutti tentano di cavalcare l’onda dei 150 anni dell’Unità d’Italia, di Garibaldi e dei Savoia, Ravenna si distingue e focalizza l’attenzione su un episodio altrettanto carico di italianità, ma meno scontato. Ha inaugurato oggi infatti al Museo d’arte della città di Ravenna la monumentale esposizione che porta il seguente titolo: L’Italia s’è desta 1945-1953 Arte in Italia nel secondo dopoguerra, da De Chirico a Guttuso, da Fontana a Burri, curata da Claudio Spadoni, che per la prima volta riunisce tutte le correnti, i gruppi, gli artisti che hanno fatto la storia dell’arte italiana e non solo dal 1945 al 1953. Pochi anni, voi direte, ma ben oltre 160 opere a documentare un periodo artistico spesso trascurato. Siamo sempre stati talmente presi dal mettere in mostra Monet e compagnia bella da non poter soffermarci a chiedere: ma gli artisti italiani, dopo la guerra, cosa hanno fatto?
Evidentemente vale la regola che più un artista è in crisi, più produce capolavori. E in Italia, di quel che rimaneva dell’Italia, finita la guerra, di crisi ce n’era veramente tanta. Dobbiamo immaginare questo gruppetto di pittori carichi di odio e di rabbia, di sconforto e di miseria, che come prima cosa camminando fra le macerie provocate dai bombardamenti decide di eleggere Picasso a leader maximo del rinascimento pittorico post bellico, di quel nuovo modo di essere artista dell’avanguardia e portatore di ideali, e di scegliere Guernica, una delle sue opere più famose, come manifesto del nuovo fervore innovativo che porterà gli artisti di questi anni a guardare sempre più verso l’Europa, Parigi in particolare, ma anche a riscoprire i grandi maestri del ’900. Questo, la volontà di riportare alla ribalta mostri sacri, ma ultimamente un po’ snobbati, come De Chirico, Sironi, Morandi, Carrà, denota una grande umiltà delle nuove generazioni, un desiderio di sapere, e chi meglio di De Chirico può far luce nel loro cammino, talmente divino e talmente consapevole di sè da arrivare a riprodurre in questi anni le sue stesse opere del periodo metafisico?
A far da padrone comunque è Renato Guttuso, altro grande protagonista di quegli anni, portavoce degli ideali del Pci che vuole che gli artisti dipingano il disagio dei lavoratori, creando quella classe di intellettuali di sinistra, oggi chiamati amorevolmente radical chic che però, diciamolo, di sinistra ormai hanno ben poco. E poi, i gruppi. Fronte Nuovo delle Arti, Forma 1, Corrente, gli Otto, il MAC ed altri ancora, tutti gruppi di artisti nati proprio in quegli anni, uniti dagli stessi ideali e dagli stessi obiettivi di far progredire l’arte, di rompere le barriere, di andare oltre. Ma anche in polemica fra di loro, divisi tra il realismo e l’astrattismo, ma anche oscillanti tra un realismo astratto e un astrattismo realista. Come c’è riuscito Lucio Fontana, creatore dello Spazialismo, presente in mostra con alcune tele, non ancora strappate, ma già proiettate verso uno spazio che va ben oltre la bidimensionalità. E’ dedicato uno spazio anche agli artisti cosiddetti outsiders, coloro che non fecero parte di nessun gruppo, volontariamente o perchè seguaci di un qualcosa che non può e non deve essere etichettato, come Bendini, come Vacchi, come Leoncillo, lo scultore più pittore che ci sia mai stato in Italia.
Antonio Sanfilippo, Composizione, 1947, olio su tela, cm 65 x 80, Collezione Antonella Sanfilippo
E così, tra un Moreni apocalittico, e un Turcato zen, si arriva alla sezione conclusiva, dove un Guttuso sindacalista, paladino delle masse, si contrappone al Vedova della gestualità più sfrenata, che guarda al action painting statunitense. In mezzo, a godersi la scena, De Chirico, di nuovo, stavolta in versione barocca, che non può fare a meno di chiedersi: ma ne vale veramente la pena cercare ancora qualcosa di nuovo nell’arte? Lui balla da solo e vince, nel suo percorso a ritroso e nella rivisitazione di sè stesso. Noi rimaniamo estasiati, di fronte a tanta bellezza.
Al bacio.