di CARLO VALENTINI
L'elefante diventa gazzella? Le università ci provano e per la prima volta, il 21 marzo, si danno una mossa. Tutte insieme, con una catena di iniziative dal titolo #primaverauniversità. Niente di nuovo sotto il sole se si risolverà in una rivendicazione di maggiori contributi pubblici, un importante appuntamento se, al contrario, com'è nelle intenzioni, si approfondirà in che modo gli atenei possono mettersi al passo coi tempi e partecipare al rilancio del Paese. In ogni caso le università si muovono e già questo può (forse) fare scrollare di dosso un po' di polvere.
L'appuntamento è stato fissato dal Crui, la Conferenza dei rettori., che proclama: "Il 21 marzo in ogni sede delle università italiane, statali e non statali, si terranno incontri e dibattiti pubblici per riaffermare il ruolo strategico della ricerca e dell'alta formazione per il futuro del Paese. Verranno discusse e raccolte idee e proposte da consegnare al governo in un documento di sintesi".
Dice Gaetano Manfredi, che guida la Federico II di Napoli ed è a capo del Crui: "il valore e la competitività scientifica delle nostre università è rimasta forte. E uniche tra le amministrazioni pubbliche le università sono finanziate sulla base dei costi standard e degli esiti delle valutazioni scientifiche".
Però c'è pure il cahier de doléances: "Dal 2008 il sistema universitario italiano- dice- è soggetto a tagli lineari e progressivi delle risorse. Una scelta politica trasversale che, in coincidenza con la drammatica crisi globale e l'adozione di una radicale riforma organizzativa, si è tradotta nella perdita di oltre 10.000 posizioni di ruolo solo tra quelle per docenti e ricercatori, ovvero tagli superiori al 13% del totale quando la media nel settore pubblico è stata ad oggi del 5%".
Tutto vero, ma chissà se il 21 marzo ci sarà posto anche per un esame di coscienza: le università italiane funzionano al meglio? Riversano sul Paese, in valore aggiunto, ciò che ricevono?
L'Italia è assai lontana dall'obiettivo dell'Europa di avere entro il 2020 il 40% di giovani laureati. Siamo fermi al 23,9%, ultimo posto tra i 28 Stati dell'Ue. La regione con il maggior numero di laureati è il Lazio (31,6%) e si colloca su livelli pari a quelli del Portogallo. La Sardegna ha una percentuale di giovani laureati (17,4%) superiore solo alla regione bulgara dello Severozàpad. Un'altra ricerca effettuata tra i post-laureati ha registrato che il 56% degli occupati all'estero ritiene molto efficace gli studi universitari effettuati, in Italia la soglia si abbassa al 43,3%.
Inoltre si sta riducendo il numero degli immatricolati e tutto questo,
secondo un Rapporto della Fondazione Res (Ricerca su economia e società) "rischia di generare un effetto boomerang per il futuro. In un sistema economico che richiederà sempre più mansioni lavorative differenziate e non ripetitive per lavori altamente qualificati e creativi, non avere abbastanza laureati potrebbe generare un vulnus per la competitività delle imprese".
Tante le iniziative di #primaverauniversità. A Bologna parteciperanno, accanto ai rettori emiliani, il ministro Graziano Delrio e il presidente regionale di Confindustria, a Padova hanno scelto invece (anche) uno spettacolo della Banda Osiris, a Cagliari vi sarà una passeggiata-corteo dal palazzo civico al rettorato poi un convegno col presidente di Confindustria Sardegna, ad Alessandria parteciperanno due politici, l'on Enrico Borghi e il senatore Daniele Borioli, a Trieste il meeting sarà trasmesso via streaming, i rettori lombardi si ritroveranno alla Bicocca, quelli romani a Tor Vergara, a Pavia hanno ideato lo Speakers' Corner, dove studenti e docenti potranno illustrare (in 7 minuti) le loro proposte. I più arrabbiati sembrano i toscani, i rettori corregionali di Matteo Renzi hanno firmato un duro documento in cui si propone il "blocco di tutti gli atenei con uno sciopero generale da organizzare con la massima partecipazione e il coinvolgimento di tutte le componenti della comunità accademica come passo necessario verso una agitazione e una mobilitazione permanente finché non si verificherà una reale inversione di rotta da parte del governo".
Anche negli atenei ci sono i duri-e-puri. Sarà interessante verificare i risultati di questa singolare giornata di primavera. "Il tema fondamentale -aggiunge Manfredi- è rafforzare il sistema nazionale, sia aumentando la capacità di attrarre i giovani attraverso un sistema più efficiente di diritto allo studio, sia attraverso una maggiore offerta didattica che guardi in particolare alle lauree professionalizzanti, quelle maggiormente in grado di garantire un lavoro una volta terminati gli studi. È inoltre importante che le nostre università non siano solo centri di formazione e ricerca, ma agenti sociali ed economici, motori dello sviluppo e della trasformazione dei territori e della società. Per questo occorre favorire le potenzialità relazionali tra atenei e mondo economico".
Dopo la cura dimagrante le università dovrebbero riposizionarsi sulla rampa di lancio. La crisi economica ha infatti inciso sugli atenei. I docenti sono scesi a 52.000 (erano 62.000 nel 2014), il personale tecnico amministrativo si è ridotto da 5.634 a 4.628. Sono diminuiti anche gli studenti immatricolati.: 260 mila rispetto ai 326 mila del 2014.
Un esempio di ripensamento del ruolo dell'università arriva da Urbino, dove l'università ha deciso di attivarsi rispetto al mercato del lavoro. Spiega Tonino Pencarelli, delegato del rettore all'orientamento e al tutorato: "Le università possono interagire con la rete di servizi per l'impiego con attività di job placement (accoglienza, informazione, orientamento ecc.) affiancando la ricerca e la formazione tradizionali. La nostra università Carlo Bo in particolare sta lavorando alla mediazione con il mercato del lavoro e si è iscritta all'albo informatico delle agenzie per il lavoro tramite il portale ClicLavoro, iniziativa che prevede il trasferimento dei curricula all'interno del portale. Inoltre, attraverso la piattaforma Alma Laurea, si dà accesso a pagine integrative che facilitano il percorso di orientamento in uscita".
Che vi sia bisogno di un maggiore coordinamento tra università e mercato del lavoro emerge anche dai dati Eurostat, che indicano che ben il 28% degli occupati italiani classificati come manager ha completato tutt'al più la scuola dell'obbligo e la quota di manager italiani laureati è meno della metà della media europea: i manager laureati nell'Unione europea sono il 54%, mentre in Italia la percentuale è del 25%.
15.03.2016