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L’università italiana e la crisi, ma i problemi non sono solo economici….

Creato il 23 novembre 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

723px-Plato_i_sin_akademi,_av_Carl_Johan_Wahlbom_(ur_Svenska_Familj-Journalen)di Michele Marsonet. Qual è, oggi, lo stato di salute dell’università italiana? Se lo chiediamo a docenti e studenti, la maggioranza risponderà che è critico o addirittura drammatico, e il giudizio si riflette puntualmente negli organi di stampa. Non si è mai parlato e scritto tanto di università come negli ultimi anni, a dimostrazione del fatto che anche nell’opinione pubblica si percepisce con chiarezza un senso di malessere diffuso, una sorta di crisi di identità che affonda le radici nello smarrimento progressivo del significato del lavoro universitario. Nel frattempo si susseguono le coalizioni governative, ma il tema continua ad essere affrontato in termini puramente economici. “Dateci più soldi” – affermano il ministro di turno, rettori e docenti – “e vedrete che i problemi troveranno una soluzione adeguata”. 

La questione, tuttavia, non è così semplice. Lo testimonia il fatto che si parla di crisi del sistema universitario europeo, e non solo italiano. Ovunque si tende a dimenticare che la sfera economica non può mai essere disgiunta dalla sfera politica e, soprattutto, da quella morale. Lo scriveva Norberto Bobbio notando che un economista come Luigi Einaudi, nonostante la sua diffidenza nei riguardi dello strapotere dello Stato, non mise mai in dubbio che quando è in questione la vita collettiva di una nazione la decisione ultima spetti al politico.   Eppure anche un intellettuale di rilievo come Ralf Dahrendorf, che ha ricevuto di recente il Premio Isaiah Berlin dal Centro Internazionale di Studi Italiani a Santa Margherita, offre un’analisi basata su criteri esclusivamente economici. Trattando il tema “Le università europee al bivio tra rinascita e decadenza”, Dahrendorf pone a confronto il sistema universitario americano e quello europeo. Egli nota giustamente che il secondo risente di carenza di diversificazione e di flessibilità, nonché di eccesso di burocrazia. Pur ammettendo che in Europa esiste anche un’insufficienza di finanziamenti spiù accentuata che in America. Parte però da una constatazione che può anche ingenerare dubbi. “Le università europee” – questa la sua tesi – “non riescono a fornire quell’energia intellettuale e creativa che servirebbe a innalzare il basso livello di performance economica del continente”.

Ci si può chiedere: ma è proprio questo il compito, o se si preferisce la vocazione, di un sistema universitario inteso in senso globale? Quello, cioè, di creare sinergia tra mondo economico e mondo accademico? In alcuni casi sì, ma non in tutti. Dahrendorf riconosce che viviamo in una “società della conoscenza”. Quest’ultima, però, non è solo scientifica e tecnologica. Giudica inoltre nefasta una presunta tendenza del sistema universitario europeo a definire i propri obiettivi in contrasto con il mondo economico. Una tendenza, a suo avviso, che pregiudica lo status delle università europee nel mondo reale.

La frase è significativa. Da essa si deduce che per Dahrendorf il mondo reale è quello economico, magari con l’aggiunta di scienza e tecnologia. Tutto il resto è, se si segue il suo ragionamento, irrealtà. Credo sia necessario dissentire. La realtà è assai più complessa e variegata, e ciò che fuoriesce dall’economia, dalla scienza e dalla tecnologia fornisce un apporto di fondamentale importanza alla società nel suo insieme.

Senza contare che parlare di sistema universitario americano come di un blocco monolitico è fuorviante. In quel contesto abbiamo piuttosto una serie di atenei di primo livello, che godono di grandi finanziamenti. E poi un numero molto più vasto di università di serie B o C, in cui la preparazione fornita agli studenti è decisamente inferiore alla media europea. Stiamo attenti, dunque, a privilegiare sempre e in ogni caso le scelte economiche rispetto a quelle politiche e culturali.

Il problema va affrontato in modo diverso, riconoscendo che abbiamo smarrito il vecchio significato di “Universitas” intesa come comunità di docenti e studenti che perseguono il fine di diffondere e assimilare la conoscenza a ogni livello, sia essa pratica o teorica. Chi riesce a stento a insegnare e a fare ricerca perché sommerso da codici e tabelle che cambiano ogni giorno, da normative confuse e in perenne evoluzione, sa bene di cosa sto parlando. I finanziamenti, insomma, rischiano di contare poco se prima non si recupera la consapevolezza di cosa significhi insegnare e studiare all’università.

Featured image, Platone discorre con i suoi discepoli nell’Accademia, Svenska Familj-Journalen (1864-1887).

 


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