Così parlò uno dei più grandi e immortali protagonisti della canzone italiana: Fabrizio De André. Che con il suo feroce sarcasmo, la sua voce profonda e intensa, seppe, meglio di tutti, guardare e descrivere una società che ancora oggi, considera la diversità, una piaga sociale e i ”diversi” individui da sradicare ed emarginare.
Risuonano a vuoto le parole impresse sulla carta Costituzionale che rivendicano la tutela delle ”nuove minoranze” e delle ”minoranze storiche” costituite da: immigrati, minoranze linguistiche, omosessuali, minoranze religiose ecc.
Le odierne democrazie sollevano dibattiti sulla coesione e l’uguaglianza sociale. L’Italia teoricamente si divide tra: accoglienza e tolleranza, praticamente però teme l’estraneazione dalla massa e le fughe dal branco.
Allo stesso tempo ”miliardi di figli unici” combattono senza armi per affermare i propri diritti, alzando umilmente la testa dinanzi ad un sistema che nega e chiude le porte a chi vive la sua vita fuori dalle regole della maggioranza, fuori dai canoni e dagli stereotipi, rimanendo pur sempre assoggettato al potere schiacciante di chi lo esercita.
Ma la storia, come disse lo stesso De Andrè è scritta da chi ha lottato per cambiare il proprio destino, conservando pur sempre la propria diversità e sollevando il capo dinanzi all’arroganza del potere e alle ingiustizie e rivendicando i propri diritti e la propria identità; ricordando all’uomo ”comune” che sono i sentimenti come: la pietas, l’amore per il prossimo, la tolleranza, il rispetto, la solidarietà a salvare e a cambiare il mondo.