Chissà se avrò mai il coraggio di tornare a leggere le pagine in cui raccontò la sua vita straordinaria, l'impresa con cui strappò la verità al mito. Temo di no, ed è meglio così, perché me lo voglio tenere come è, quel ricordo del bambino qual ero, che non sognava di diventare aviatore o pompiere, ma archeologo. E non un archeologo qualsiasi, ma Heinrich Schliemann.
Qualcuno se ne ricorda ancora? Schliemann, l'uomo che restituiva luce alle città sepolte. L'uomo che dimostrò al mondo che Troia non era il sogno di un poeta cieco.
Schliemann nella vita cominciò come garzone di bottega, figlio di un pastore protestante. Era poco più di un bambino, quando gli regalarono un libro di storia con un'illustrazione di Troia in fiamme. Su quella pagina gli esplose qualcosa.
Anni dopo fu costretto ad abbandonare gli studi, ma una sera gli capitò di sentire un ubriaco che recitava alcuni versi in greco antico. Continuò a pagargli da bere, purché lui continuasse. Solo più tardi seppe che era l'Iliade. Decise di imparare il greco. Ma soprattutto decise che Troia non era solo un sogno. Non era una leggenda. E se era esistita, Troia, lui l'avrebbe ritrovata.
Follia sembrava, ma gli anni passarono e lui lavorò duro. Si imbarcò su navi che solcavano gli oceani, fece il fattorino, imparò molte lingue, si dette al commercio, finì per arricchirsi.
Alla fine arrivò il momento in cui potè dedicarsi del tutto al suo sogno. Si lasciò guidare dai versi di Omero, nemmeno fosse una mappa del tesoro. E la trovò. Trovò la città che per tutti era solo leggenda.
Restituì luce. Restituì verità.