Fa un certo effetto rivedere i film che ti hanno folgorato da ragazzino, magari quelli leggermenti spinti (era l'era del "softcore d'autore", gli anni Settanta) e tra questi, naturalmente, non poteva mancare una riedizione de L'Homme qui ment di Alain Robbe-Grillet, meglio conosciuto per essere stato lo sceneggiatore de L'anno scorso a Marienbad, complice la regia incantata di Resnais. Poco fa ho usato il termine ironico di softcore ma, in effetti, sono ingiusto perché almeno in questo caso Robbe-Grillet era riuscito a salvare la teoria (il celebre nouveau roman applicato al cinema, dopo la partita a due con Resnais) e la pratica registica senza cadere in atmosfere torbide che potrebbero ricordare, anche se su più gelidi guanciali, un Jesse Franco che ha letto Borges e che si è perso nei giardini di Fontainebleau. No, questo film "tiene bene" perché il riferimento forte, estetico, resta per ammissione dello stesso RG il suo amato Kafka...E funziona bene anche e soprattutto grazie al suberbo montaggio e alla musica di Michel Fano, non sempre "a filo" con le immagini ma efficace proprio nel sottolineare gli spazi o i vuoti anziché le situazioni definite. Chi è, dunque, il mentitore del titolo? Un ex soldato di origine ucraina (Jean-Luis Trintignant) che dice di chiamarsi Boris Varissa quando ritrova la vedova del suo compagno di lotta, con le sorelle che abitano in un castello diroccato. E' evidente che a lui piace raccontare la sua versione dei fatti ogni volta in modo diverso, sia per aggirare una noia che sembra averlo in pugno sia per sedurre le donne, una dopo l'altra, compresa la moglie dell'eroe di guerra e suo ex amico Jean Robin. Il film è giocato su una molteplicità di piani e di raffronti, anche e in special modo visivi, che mescolano abilmente realtà e fantasmi, ragione e ossessione, con in un allucinato e grottesco Se una notte d'inverno un viaggiatore...Credo, infatti, che a parte l'incomparabile Kafka qui ci sia molto, come d'altra parte in Trans-Europe Express, di Calvino. Lo scherzo alla fine è più tragico che divertente, ma questo lo spettatore deve scoprirlo da solo. Nonostante il fascino di questa pellicola, forse ciò che ci appare oggi più lontano nel tempo è proprio il senso del gioco, questa voglia dichiarata di non stare mai al proprio posto (come nei film tradizionali, il cui impianto è spesso psicologico e quasi mai "strutturale" come in certa filmografia di questi anni, si pensi al Resnais di Muriel, il tempo di un ritorno oppure al cerebrale, ma altrettanto sanguigno, Images di Robert Altman). Se comunque si arriva dalla lettura dei romanzi di RG, in special modo Nel labirinto o La gelosia, si ritrova almeno il pallido riflesso di un universo mentale in espansione, di una potenza enigmatica, ma sempre contratto da una spirale di ansia, angoscia e di fallimento incombente. Bravissimo Trintignant nella parte del grande affabulatore, mentre gli altri personaggi, pur risultando credibili, restano in primo luogo delle figure - in modo analogo al film di Altman, a mio parere- dell'inconscio o del desiderio. Nel dvd della RHV si trova un commento interessante al film da cui estraggo questa perla: "Boris è un funambolo della menzogna, mitomane instancabile e ansioso di sperimentare ogni possibile variazione sul tema di ciò che può essere stato, che se la ride di gusto (un gusto amaro), allo spettacolo della parola rigenerantesi dalle proprie ceneri". Per la filmografia di Robbe-Grillet. Nel progetto Scrittori per un anno della RAI, una bella intervista video allo scrittore e regista francese: la letteratura, il cinema (Resnais, Antonioni), i luoghi e le memorie.
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