L'uomo che verrà

Creato il 28 giugno 2010 da Eraserhead

Diritti conferma con L’uomo che verrà la sua discesa verticale alle soglie della vita. È un lavoro preciso, senza fronzoli, che si esprime con essenzialità. Arriva d(i)ritto, dal basso, nell’autenticità del dialetto: verbalità primordiale che riporta all’origine, all’inizio di tutto. E insieme l’odore della terra smossa, la fragranza del camino che strepita, l’umanità di un gruppo di uomini che condividono la stessa fatica del raccolto. O l’ombra accogliente della religione, crocifissi, piccoli preti, la fede, il peccato, Dio.
E poi, uno sbalzo improvviso; si ritorna su nel presente, che è sempre passato, che sarà il presente. Il male si coagula e come ne Il vento fa il suo giro (2005) – probabilmente superiore a questo per aver sondato originalmente il calpestato terreno del “diverso” – deflagra, annichilisce le vite. Semplicemente (disperatamente!): provoca morte. Quando cala il sipario rosso sangue qualche ingranaggio assopito della nostra storia, così lontana da quella storia, riacquista vita, facendo vibrare le radici interrate nel passato dei nostri nonni.
Gli UOMINI che verranno siamo noi; il messaggio è anche scontato, come in fondo ne risulta la rappresentazione dicotomica tra bene e male, e usurato, ahimè, da chi prima di Diritti si è cimentato male con l’argomento. Ma è giusto più che sacrosanto, che sia così. C’è bisogno del ricordo, sì, ma prima ancora di sapere, perché chi verrà dopo, e poi ancora dopo, lascerà i fatti di Monte Sole nelle nebbie di ciò che è stato. Un uomo, grande, come Diritti dà una chance a noi, di essere in-formati per poter ricordare, un po’ come Martina che stringendo il fratellino sul ramo dell’albero lo culla con una nenia che ha serpeggiato per tutto il film.
Il neonato è una coscienza bianca, pulita innocenza che dovrebbe esser propria anche della sorellina, ma la guerra (ho imparato da qui) fa diventare i bambini adulti, e spiare un rastrellamento nazista dal campanile di una chiesa o essere sepolti dai cadaveri dilaniati dei propri cari rende una bimba, una madre. E le parole superflue che racconterebbero di un eccidio, di un orrore praticamente inenarrabile, fluiscono in una cantilena infantile. Martina rompendo il mutismo soffia nell’anima del suo caro il dolore che ha vissuto: che sua madre è stata uccisa di spalle da una raffica di mitragliatrice, che il papà è andato incontro alla morte dopo essersi inutilmente sottratto ad essa.
Il regista bolognese ugualmente scuote gli alberi avvizziti della nostra Storia, e ci dice tanto: che uomini donne e bambini furono trucidati senza motivo se non quello di essere Uomini, che nello spazio di 7 giorni furono uccise oltre 800 persone, più di 100 al giorno.
Sarebbe opportuno, ancorché indispensabile, cullare altre coscienze, che ci stanno e staranno intorno, come ha fatto Martina, come ha fatto Diritti.
Messinscena pura, senza artifizi come un paesaggio rurale è. Casting nuovamente azzeccato con molti attori non professionisti dai volti asimmetrici ammaccati dal sole. La piccola Greta Zuccheri Montanari è un angelo, Claudio Casadio un martire della terra. Diritti sa essere arioso ed intimo, efficace nella linearità del suo raccontare. Qua e là si concede un paio di preziosismi niente male (la mdp che spia agile da dietro i covoni con una qualità d’immagine eccellente, o il geniale espediente della sordità per esprimere l’impotenza del padre davanti alla violenza) che lo confermano una delle promesse del futuro, ricordandoci il nostro passato.


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