Tocca ancora a Sandro ritagliarsi uno spazio per la recensione ospite.
Oggi ci racconta come ha visto L’uomo che verrà, di Giorgio Diritti.
Se anche tu vuoi pubblicare una tua recensione su queste pagine non devi fare altro che scrivermi.
Il film, vincitore de l’Alabarda d’oro come miglior film 3 David di Donatello e 3 Nastri d’Argento tutti nel 2010, narra la storia, drammatica, degli eventi immediatamente antecedenti la strage di Marzabotto. Nell’inverno 1943-1944 sull’appennino emiliano, la piccola Martina (Greta Zuccheri Montanari), di otto anni, vive con i genitori e con la famiglia contadina. Dalla morte del fratello più piccolo Martina ha smesso di parlare e questo la rende oggetto di prese in giro da parte dei coetanei. Il film si svolge dal suo punto di vista, rendendola per certi versi una delle protagoniste.
Nel frattempo, Lena (Maya Sansa), la madre della bambina, resta nuovamente incinta e Martina segue con attenzione ed estrema curiosità i nove mesi della gestazione. Il fratellino di Martina nasce in casa, a fine settembre del 1944.
Ma allo spuntar del giorno le SS arrivano nelle campagne bolognesi, mettendo in atto un feroce rastrellamento, che verrà ricordato come strage di Marzabotto: vecchi, donne e bambini vengono trucidati, dopo esser stati raccolti nei cimiteri, nelle chiese, nei casolari. Martina, che era riuscita a fuggire, viene scoperta e rinchiusa in una piccola chiesa insieme a decine di altre persone.
I soldati tedeschi lanciano all’interno, attraverso le finestre, delle bombe a mano che fanno strage. La bambina resta miracolosamente illesa e torna a casa, trovando solo stanze vuote e silenzio: prende la cesta con il fratellino e si rifugia nella canonica di don Fornasini, uno dei parroci della zona. Martina riesce a ritornare al casolare di famiglia, dove si prende cura del fratellino e finalmente, cantando per lui una ninna nanna, ritorna a parlare.
Il film è in dialetto, la qual cosa già di per sè rende realistica e quasi confidenziale l’ambientazione. Ma molti sono i dettagli che descrivono in modo estremamente realistico la vita di quel periodo: la vita agraria, il parto in casa, il bucato, le ceste intrecciate nella stalla, la macellazione del maiale, gli amoreggiamenti dei giovani, la Prima Comunione. Sembra quasi di far parte della comunità, di vivere insieme a loro.
Nonostante si dica alla fine del film che i riferimenti a persone realmente esistite è casuale, alcuni personaggi del film sono realmente esistiti, come don Giovanni Fornasini, giovane parroco antifascista o don Ubaldo Marchioni, che fu ucciso davanti all’altare della chiesa di Casaglia: la pisside che teneva in mano al momento dell’uccisione si conserva ancora, con una pallottola incastrata sul fianco. Così le 84 persone uccise con le mitragliatrici nel cimitero di Casaglia e le persone che fu uccise all’interno di una chiesa con il lancio di bombe a mano sono realmente esistite.
Il film, come avrete intuito, è estremamente drammatico, e vietato ai minori di 16 anni. Descrive un periodo tragico e in un modo diretto, senza tanti giri di parole; ma offre anche una ricostruzione storica di un evento tanto triste quanto storicamente importante.
Proprio per l’importanza storica della storia vi consiglio di vederlo, non vi annoierete di sicuro, ma altrettanto vi consiglio di visionarlo con lo spirito e con la mentalità adeguata: consci, cioè, che ne uscirete molto probabilmente turbati e coinvolti nel vedere qualcosa che avete appreso nei vostri studi liceali e che avrà probabilmente, rispetto ai citati studi, un effetto completamente diverso, forse più profondo.