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“No no no, portare io. Ferma.” “Ma ce la faccio!” “No. Fare io. Pesante cassetta. Pericoloso. Pericoloso per bambini, quando tu più grande.” Ho sorriso a questo uomo ucraino che non ho capito nemmeno bene come si chiama, ha un nome che finisce in “dic” (tipo Sladic). Ha la faccia buona, ha il viso di un pagliaccio. Mi fa ridere. Non parla mai con nessuno. Non parla con gli italiani perché parla male l'italiano. Non parla con quelli della Romania perché il rumeno non lo sa. Non parla nemmeno con gli indiani e, tra parentesi, fa bene perché quei due sono insopportabili. Comunque stamattina abbiamo colto l'uva insieme, per un po', e ho capito che la prima impressione era giusta: è un uomo buono. Si preoccupava per me. Diceva che non dovevo faticare e che la cassetta la spostava lui perché altrimenti avrei avuto problemi per fare i bambini. Ahahah! :) “Anche io figlio come te. Lui 24 anni. Figlia invece 26.” “Sono qui in Italia anche loro?” “No no, loro Ucraina.” “Da quanto sei qui?” “Quattro anni. Moglie però venuta prima. Lei qui da sei anni, però lontani no va bene. Quando moglie e marito lontani poi problemi. Allora io venuto. Dove moglie anche marito.” “Mi sembra giusto!” Gli ho sorriso. Ucraina. Le uniche cose che conosco di questo paese sono il fatto che era considerato il granaio d'Europa, Chernobyl e Andriy Sevchenko con i cui poster avevo tappezzato la camera. L'uomo ucraino dal nome incomprensibile parla davvero male l'italiano. Mi chiede di parlare piano, dice che per lui la nostra lingua è complicata, è troppo diversa dalla sua. “Vivevi vicino la centrale?” “Cosa?” “Abitavi vicino Chernobyl?” “No no, noi no. Noi vicino Kiev.” Mi specifica il nome della città, ma io non capisco bene. Non conosco altre città ucraine, lui dice che è molto grande, che un po' gli manca. “Figli mancare. Io anche nipotina, un anno e sei mesi.” “Che bello!” “Io lei vista solo una volta.” Cavolo, che vita difficile. Così lontano dal suo mondo e dagli affetti. Come riesce a stare qui?
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