Questa pellicola sovietica si prefigura come un Koyaanisqatsi (1982) ante litteram per il suo vagabondare tra i luoghi della civiltà (siamo ad Odessa) che annoverano le più svariate forme di sussistenza, di categorie: di barboni, di operai/e, di sportivi. Il taglio politico sottolineato da Wikipedia (link) scivola in secondo piano se viene preso in esame quello strettamente conoscitivo: qui è un cinema che parla di sé, che si sgancia dalla fiction per investigare la propria teoresi, che snocciola le sue qualità intrinseche e la malleabilità che lo caratterizza. Le sovrimpressioni, il taglia e cuci dei fotogrammi, gli effetti ottici dell’operatore che prima è una formica sopra la mdp e subito dopo è un gigante che sovrasta la città, sono tutte infrazioni improntate a scardinare il patinato mondo dello spettacolo. E la scena della cinepresa che danza da sola sul cavalletto è la benedizione del medium da parte di Vertov, strumento che pur riconoscendosi nella sovrapposizione con l’uomo (l’occhio-obiettivo) sa essere autonomo e straordinariamente vivo.
Questa pellicola sovietica si prefigura come un Koyaanisqatsi (1982) ante litteram per il suo vagabondare tra i luoghi della civiltà (siamo ad Odessa) che annoverano le più svariate forme di sussistenza, di categorie: di barboni, di operai/e, di sportivi. Il taglio politico sottolineato da Wikipedia (link) scivola in secondo piano se viene preso in esame quello strettamente conoscitivo: qui è un cinema che parla di sé, che si sgancia dalla fiction per investigare la propria teoresi, che snocciola le sue qualità intrinseche e la malleabilità che lo caratterizza. Le sovrimpressioni, il taglia e cuci dei fotogrammi, gli effetti ottici dell’operatore che prima è una formica sopra la mdp e subito dopo è un gigante che sovrasta la città, sono tutte infrazioni improntate a scardinare il patinato mondo dello spettacolo. E la scena della cinepresa che danza da sola sul cavalletto è la benedizione del medium da parte di Vertov, strumento che pur riconoscendosi nella sovrapposizione con l’uomo (l’occhio-obiettivo) sa essere autonomo e straordinariamente vivo.
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