Come già ebbi modo di scrivere, il problema dell’Uomo d’Acciaio è che pare essere stato confinato lui, dentro la dimensione fantasma, a vagare come il Generale Zod, in un limbo che sa di eterno reboot.
Detta in parole povere: è dal 1932 che ci raccontano la stessa storia.
Più di ottanta anni.
Di Superman, alias Kal-El, alias Clark Kent, conosciamo tutto. Perché è icona potentissima. È, o è divenuto nel corso del tempo, l’archetipo del supereroe.
E lo è divenuto, lo ricordo, a seguito di un costante work in progress che ha limato, anno dopo anno, il mito delle origini, all’inizio invero approssimativo, per sopperire con la logica moderna ad alcune inevitabili ingenuità, date dal periodo storico in cui Superman è nato. Per citarne una, il problema di Krypton e la verosimiglianza della struttura sociale su di esso imperante, mai affrontata seriamente, se non nel prologo di ogni albo, racconto, film che si sia occupato di Superman.
L’impressione, scaturita dalla visione del trailer, era che Zack Snyder volesse trattare il mito in maniera adulta, com’è di moda oggi (cosa che approvo), rileggere quindi l’archetipo del supereroe in chiave drammatica, pur senza rinunciare, com’è ovvio trattandosi di un potenziale blockbuster, alla estrema spettacolarizzazione; cosa, quest’ultima, che la potenza visiva della CGI impone, oggi, di fare. Non si può fare un film su Superman, senza fare agire Superman.
Ebbene, mi rincresce ammettere che il film di Snyder delude sul lato della maturità del personaggio, dell’approfondimento psicologico (di tutti i personaggi), mentre eccelle di sicuro dal punto di vista della rappresentazione fisica di Superman, mai apparso finora così inarrestabile e invulnerabile.
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Senza andare a proporre paragoni istintivi col Superman del XX secolo, il rimpianto Christopher Reeve, diretto da Richard Donner, che è ben collocato nel tempo ed ha, oggi, una dimensione storica precisa che il presente reboot non ha minimamente intaccato, la scelta funzionale di Snyder, devo rendergliene merito, è stata quella di non enfatizzare, all’interno del film, la fase della scoperta/consapevolezza/maturazione del super-uomo.
Superman, interpretato da Henry Cavill, è dato per acquisito. Vive in incognito, ai margini della società perché reso diverso dalla sua stessa condizione particolare.
Ci viene risparmiato il rinvenimento del neonato tra i rottami dell’astronave e la fase adolescenza turbolenta associata alla scoperta della diversità (i superpoteri), fase di passaggio narrativo finora ritenuta obbligata, e il passato di Clark, irrinunciabile e che permette il cameo di Kevin Costner nel ruolo del padre adottivo, viene narrato tramite una serie di ricordi. Che pur contengono scene in tal senso (come quella del piccolo Clark che scopre, a scuola, la vista a raggi-x e il superudito), ma essendo ricordi, sono strutturati dal punto di vista personale del protagonista adulto, mancando quindi di ogni volontà di stupire il pubblico. È la memoria, meglio ancora la coscienza di Superman, che ci parla. E si sa già che Superman è Superman.
Questo consente di evitare stucchevole lirismo, ed è vincente, proprio a causa del fatto che, ritengo, solo i giovanissimi possano sorprendersi nel conoscere la storia del supereroe, il 90% del pubblico de L’Uomo d’Acciaio/Man of Steel ha familiarità col personaggio, e di conseguenza l’ansia di vederlo fatto e finito e “in azione” contro nemici impossibili.
In pratica è uno spettacolo di freaks.
Proprio per questo, nonostante il montaggio arrechi beneficio, le medesime scene esplicative sulle origini risultano posticce, date per scontate, e quindi non coinvolgenti.
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Snyder si sofferma in un lungo prologo sulla parte kryptoniana della storia. Jor-El è Russel Crowe, senza infamia e senza lode, e ci accompagna in una veloce scampagnata in quel di Krypton che, va detto, per la prima volta sembra un pianeta davvero abitabile. Niente a che vedere con le desolate distese di ghiaccio di Donner, che in effetti facevano sorgere qualche dubbio sulla plausibilità di tale avanzata civilizzazione.
Quindi che problema c’è?
C’è che la estrema familiarità con la storia porta Snyder a presentare il tutto come già acquisito. Incentrando la narrazione esclusivamente sul protagonista, che sì, è affiancato da Lois Lane (Amy Adams) (quest’ultima a mio avviso una scream-queen aggiornata al XXI secolo, essendo sempre al centro dell’azione ma mai per volontà propria e, ovviamente, bisognosa di essere salvata), ma che è solo, nel suo essere divino, fa sì che tutti gli altri comprimari siano più piatti delle tavole da disegno. Fanno tappezzeria. Tutti, pure Laurence Fishburne, direttore del Daily Planet, nessuno escluso.
L’unico che evade da questo piattume è, per forza di cose, il Generale Zod (Michael Shannon), ma solo perché avversario, quindi condivide la scena, e picchia Superman.
Certo, Superman viene picchiato anche dai due sgherri del Generale, la ragazza e lo scimmione, che noi ricordiamo grazie a Superman II di Richard Lester, a tutto vantaggio della ragazza. Qui lo scimmione si vede a stento e nemmeno una volta in viso. Ed è tutto dire.
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Cosa ancora peggiore, a mio avviso, è far dichiarare, più e più volte, a più o meno tutti i piatti co-protagonisti, dubbi e timori sulla scoperta di Superman da parte dell’umanità, salvo poi dare come già acquisita, anche stavolta, una vera e propria invasione aliena, con tanto di minaccia in mondovisione del generale Zod.
“Ci sono gli alieni in TV! Ah sì?” Questa più o meno sembra la reazione, ai limiti dello scazzo, del pianeta Terra di fronte a tale consapevolezza.
Le scene d’azione, come già detto, sono ottime. Nessun rallentatore, solo dinamismo e energia cinetica, per un Superman (e nemici) che finalmente sembra mantenere ciò che promette: essere un semi-dio.
Il problema si pone dal momento che, in ogni interpretazione di Superman, dal 1932 a oggi, Kal-El è sempre stato attentissimo a salvaguardare gli innocenti dai suoi scontri corpo a corpo, addirittura esponendosi ai colpi pur di trarre in salvo i malcapitati. Qui, francamente, nei due scontri epici, Smallville e Metropolis, l’impressione è che se ne freghi altamente di cosa o chi gli sta intorno (salvo alla fine), distruggendo tutto, causando danni per centinaia di miliardi di dollari (cosa che fa risuonare di ironia feroce la dichiarazione di chiusura di Superman al generale dell’esercito americano: “Sono qui per aiutarvi!”. E sticazzi, no?). L’azione ne risulta spettacolare, ma se ci si sofferma un attimo a considerare i danni collaterali (dando per improbabile due evacuazioni perfettamente riuscite), non proprio.
Ultima nota: com’è possibile che sullo schermo del centro tattico delle operazioni militari umane compaia il grafico esplicativo del processo di terraformazione avviato da Zod? È una minchiata colossale, dal momento che nessuno può sapere esattamente cosa stia accadendo nell’immediato all’intero pianeta.
In conclusione, non un film memorabile, ma guardabile. In alcuni momenti troppo prolisso e noioso. E con una grandissima colonna sonora, a opera di Hans Zimmer. Questo sì.
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