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L’uomo del Correboi

Da Tontonlino

L’uomo del Correboi

L’area geografica della presente ricerca è sostanzialmente circoscritta al paesino ogliastrino di Fluminimattzai e al passo montanaro del Correboi che lo sovrasta. In realtà la nostra indagine coinvolge tutti i paesi del circondario accomunati dalle leggende, le abitudini e le superstizioni che si rapportano al cosiddetto Uomo del Correboi e che dalla convinzione della sua esistenza sono state originate. Proponiamo ai gentili lettori della nostra rivista una prima parte del nostro studio che per motivi di spazio non possiamo pubblicare integralmente in questo numero e abbiamo quindi suddiviso in quattro articoli mensili. Di prossima pubblicazione le poesie e le canzoni barbaricine e ogliastrine, poi gli amuleti e i riti magici intorno all’Uomo del Correboi a cui seguirà uno studio comparato dell’Uomo del Correboi e alcuni esseri straordinari di altre parti del mondo.

Gli avvistamenti:

Sappiamo dell’Uomo del Correboi principalmente attraverso due avvistamenti. Il primo, quello del commerciante inglese sir Harry Scott, che risale a quarantotto anni fa e il secondo, quello del pastore Franco Prunedda di Fluminimattzai, a soli 10 anni. Di questi importanti avvistamenti ci rimangono alcune righe in un diario di viaggio e un articolo di giornale.Riguardo al primo avvistamento attingiamo dal diario dello stesso Scott [Note di un commerciante inglese nell’Isola di Sardegna, Andrea Giusti ed. Firenze, 1853]che ne precisa la data e l’ora: venerdì 23 aprile 1852, alle ore 16 e 30 per l’esattezza. “La nostra carovana, scrive lo Scott, costituita da una vettura e da 20 carrette trainate da cavalli cariche di prodotti alimentari e di artigianato isolani, quali mobilia di castagno e vasellami, proveniva dalla città di Nuoro e si accingeva ad attraversare il noto passo del Correboi in direzione della cittadina di Lanusei e successivamente del porticciolo di Arbatax dove era ancorato lo steamer Proudly King. Era una bella giornata primaverile e niente faceva presagire un incontro di tale importanza scientifica. Uno dei nostri cocchieri, Angelo Artitzu, in preda all’agitazione, porgendomi il proprio cannocchiale mi indicava una figura umana su uno sperone di roccia distante circa 200 metri. Incuriosito, portai immediatamente il cannocchiale davanti ai miei occhi e guardai nella direzione indicatami dal signor Artitzu. Non è raro scorgere dei pastori in quelle vicinanze ma l’uomo che mi apparve, sempre che di uomo si trattasse, sicuramente non era un pastore: non indossava alcun vestito e mostrava una pelle completamente bianca in gran parte ricoperta da abbondante peluria bianca, una lunga capigliatura bianca o bionda e una muscolatura poco comune. La sua altezza, da quanto potessi giudicare da quella distanza, poteva essere stimata tra i 190 e 210 centimetri. Quel che maggiormente mi sorprese non furono tanto le sue fattezze, che per quanto insolite potevano avere una spiegazione razionale, quanto le sue prodigiose abilità motorie. Come se avesse capito che a nostra volta lo stavamo osservando si mise a correre ad una velocità che nessun umano potrebbe eguagliare in quegli impervi sentieri e a saltare da una roccia all’altra come solo i mufloni dell’isola sanno fare. Lo potei seguire, anche se con qualche difficoltà, per almeno due minuti nelle sue straordinarie acrobazie finché non scomparve del tutto alla nostra vista.” Scott non aggiunge altri dettagli a quell’appunto di viaggio e non risultano cronache dell’epoca che abbiano ripreso l'argomento. Il secondo avvistamento risale a soli dieci anni fa, il 19 marzo 1890 e se ne ha notizia in un articolo dell’Unione Sarda, giornale fondato soltanto un anno prima, che riproduciamo qui di seguito nelle sue linee essenziali: “Pastore muore dallo spavento. Mercoledì scorso, si legge, il tranquillo paese di Fluminimattzai è stato brutalmente svegliato alle prime ore del mattino dalle grida di spavento di un certo Franco Prunedda, noto pastore del villaggio. Il Prunedda, a quanto si è appreso, dormiva nel suo ovile nel pressi del passo del Correboi, quando è stato svegliato da qualcosa, o qualcuno, che lo ha terrorizzato. L'uomo si è dato alla fuga, correndo senza sosta fino a raggiungere il paese. La gente del posto, ce lo descrive come un uomo piuttosto coraggioso, che non temeva né la vita solitaria nel suo ovile né la spietatezza dei suoi simili. Ma che ci poteva essere di tanto orrendo nel Correboi da mettere paura al pastore? Purtroppo non possiamo dare una risposta certa perché lo stesso Prunedda non è sopravvissuto più di un giorno alla sua triste avventura e fino al momento della sua morte, da quanto era terrorizzato, non fu più in grado di parlare. Sembra tuttavia che proprio sul punto di morire abbia proferito all’orecchio della moglie queste testuali parole: S’Omu de Arrescottu. Ora secondo una credenza locale di Fluminimattzai s’Omini de Arrescottu, l’uomo di ricotta, è un essere leggendario, che vive nei monti del Gennargentu e si nutre nottetempo del sangue delle mucche e delle pecore. Le ultime parole del Prunedda sono state alla loro volta causa del terrore che da tre giorni imperversa tra gli abitanti del paese quasi si fossero riproposti i tempi bui del Medioevo con le loro streghe e i loro stregoni.” [L’Unione Sarda, 22 marzo 1890] L’articolo prosegue prendendo le distanze se non denigrando questo genere di credenze, che definisce “indegne di un secolo che sta per finire all’insegna della scienza”, e ipotizza una più verosimile vendetta alla quale sarebbe momentaneamente sfuggito il povero uomo rafforzando questa supposizione con profusione di testimonianze raccolte tra i parenti e i conoscenti della vittima.L’ipotesi del giornale non ha mai avuto nessun riscontro, e gli autori di tale presunto agguato non sono mai stati individuati né la vicenda ha avuto un proseguo in qualche faida famigliare, ma siamo grati all’autore dell’articolo per avere accennato per la prima volta in un giornale all’uomo del Correboi, oggetto esclusivo della presente ricerca. La curiosità etnologica e culturale che ci ha spinto a condurre le nostre indagini non esclude tuttavia un interesse più generalmente scientifico. Chi o cosa hanno visto esattamente sir Harry Scott e il signor Prunedda a trentotto anni di distanza l'uno da l'altro? Trattasi di un mostro o più semplicemente di un uomo con caratteristiche fisiche particolari ma comunque umane? Non si possono ancora dare delle risposte a tali quesiti ma del fatto sono rimaste delle interessanti tracce sul campo. Ci siamo recentemente recati, io e la mia consorte, Mrs. Maria Fadda Johnson, nel villaggio di Fluminimattzai, dove siamo stati confortevolmente ospitati per oltre una settimana dalle stesse persone che abbiamo intervistato. Ringraziamo la signora Pau Elmina e la cognata, la signora Pistis Marta, per la loro ospitalità e per le meravigliose leggende che ci hanno raccontato e che offriamo per la prima volta ai nostri lettori che non mancheranno di cogliere il nesso tra le caratteristiche fisiche dei protagonisti e quelle dell'Uomo del Correboi descritte dal commerciante inglese. Precisiamo che le signore Pau e Pistis, entrambe vedove, hanno rispettivamente 80 e 81 anni e che non hanno mai sentito queste leggende prima di avere compiuto dieci – dodici anni di età. Supponiamo quindi che le leggende abbiano avuto origine successivamente, forse anche conseguentemente, all’avvistamento del commerciante inglese sir Harry Scott. Riteniamo, inoltre, che l’appellativo con cui è noto l’Uomo del Correboi, “l’Uomo di Ricotta”, arrescottu in sardo, sia una storpiatura de “l’uomo di Harry Scott”, termini con i quali veniva inizialmente designato quell’essere straordinario che la fertile immaginazione popolare ha collocato a metà strada tra il mito e la realtà.
Le leggende:
Leggenda 1 [Raccontata dalla signora Pau Elmina di Fluminimattzai in data 22 agosto 1900]:
C’era una volta un povero ragazzo afflitto da una pelle e capelli bianchissimi fin dalla nascita. I suoi quattro fratelli, che si ritenevano più fortunati perché nati tutti bruni, lo prendevano in giro sia in famiglia che davanti agli estranei. Albino, così si chiamava il ragazzo, era molto triste. Non parlava con nessuno né nessuno voleva parlare con lui, neanche i genitori i quali si vergognavano di avere un figlio “bianco come un morto” come dicevano. Albino rimaneva spesso da solo, mangiava da solo, spesso i resti dei piatti dei fratelli, e dormiva da solo in un lettino scomodo sistemato in soffitta, a cui si accedeva da una disagevole scala a pioli, come la roba che non serviva più ma di cui la famiglia non aveva il coraggio di disfarsi. Desiderava solo una cosa: morire ma non sapeva ancora che la vita è il dono più prezioso che Dio ci abbia dato. Una mattina i suoi fratelli, che avevano la pessima abitudine di rubare nelle case dei loro compaesani, avendo appreso che il mugnaio del paese si era recato col suo asino nel paese vicino per prendere dei sacchi di grano e che non avrebbe fatto rientro quella notte, si riunirono in cucina per preparare un furto di farina nella sua casa. Albino, che fu svegliato dal vocio dei fratelli si alzò dal letto e scese in cucina dove li supplicò di non andare ma i fratelli non gli volevano dare ascolto. Così, al crepuscolo, il ragazzo decise di accompagnarli nella casa del mugnaio per cercare di dissuaderli fino all’ultimo momento. Forzarono la serratura ed entrarono chiudendo la porta dietro di loro. Trovarono come speravano dei sacchi pieni di farina che dovevano solo caricare sulle loro spalle prima di uscire. Cosa che fecero ma questa volta la serratura della porta giocò loro un brutto scherzo: si rifiutava ostinatamente di aprirsi. Provarono per ore e ore ma non c’era niente da fare: la serratura non si sbloccava. Non c’era altro modo per uscire: in quella casa, per misura di sicurezza, non c’erano finestre. Decisero così di dormire sui sacchi di farina e di attendere la mattina il ritorno del mugnaio a cui avrebbero raccontato di essere entrati in casa sua per comprare la farina. In un modo o nell’altro sarebbero usciti da quella casa. Così si sdraiarono sui sacchi e si misero a dormire. Quella notte però la Morte passò da quelle parti e non essendoci serratura che le sappia resistere entrò. Vedendo i ragazzi bruni tutti infarinati pensò: “Questi mi vogliono ingannare dandomi da credere che sono già morti.” Poi, guardando il giovane Albino e constatando che la sua pelle era effettivamente bianca anche dopo avere spazzolato con la sua veste la farina disse: “Non mi ricordo di avergli portato via la vita ma questo mi sembra già morto.” Così lo lasciò vivere portandosi via solo le vite dei suoi fratelli. Uscendo lasciò la porta aperta. Quella mattina Albino svegliandosi vide i corpi dei fratelli. Pianse su di loro e recitò una preghiera affidando le loro anime a Dio. Accorgendosi poi che la porta era aperta uscì. Da quel giorno Albino amò la vita e ritrovò il sorriso.
 Leggenda 2 [Raccontata dalla signora Pistis Marta di Fluminimattzai in data 24 agosto 1900]:
Il re del Gennargentu ha ormai raggiunto l’età in cui gli uomini devono prendere moglie. Riunisce i saggi del suo Regno per prendere consiglio da loro. La dama che avrà l’onore di essere scelta dal nostre re, dice un vecchio saggio ogliastrino, non solo deve essere la dama più bella tra tutte ma possedere a sua volta le qualità di una grande regina. Dalle prove emergono i caratteri e le doti, continua il vecchio. Il re faccia sapere a tutte le donne del reame che allo scadere del mese sposerà quella che si presenterà con il velo da sposa più lungo. La decisione del re fu proclamata in ogni angolo del suo immenso regno in modo che nessuna donna la potesse ignorare. Così le famiglie più ricche comandarono le sarte, poi tutte le altre donne in grado di cucire e ricamare, di confezionare per la loro donna in età da matrimonio, il lungo velo da sposa che le avrebbe assicurato le nozze reali. Non sempre le decisioni dei sovrani sono giuste, specie quando concedono solo ai ricchi e tolgono ogni speranza ai poveri. A questo pensava Nevina, la bella figlia del calzolaio, che aveva appreso dalla defunta madre a cucire e a rammendare. Ora contribuiva con le sue compaesane a preparare il velo della ricca Angelina Porcu. Non è giusto, ripeteva tra sé e sé, Angelina, o una come lei, diventerà la regina del Gennargentu, ma nessuna di queste, ne sono certa, ama il re come me. Nevina amava in gran segreto il re dal giorno che la famiglia reale venne in paese a chiedere di un calzolaio capace di fabbricare delle scarpe comode per un vecchio cortigiano a cui il re era molto grato per avergli salvato la vita. Siccome suo padre era l’unico calzolaio del paese, bussarono a casa sua. I giovani si guardarono e subito Nevina sentì qualcosa di strano in lei. Era il suo cuore puro che aveva cominciato a battere per quello del suo re. Non potendo pretendere di essere ricambiata dal suo sovrano, Nevina cercò di dimenticare soffocando il suo amore nel duro lavoro quotidiano. Il giorno delle nozze stava ormai arrivando, il velo era pronto e per lei non c’era nessuna speranza. L’indomani avrà come regina una donna come Angelina Porcu, ricca e superba ma col cuore arido come i giorni di siccità. Ma Nevina aveva un’amica. Era un’amica che conosceva e poteva vedere solo lei. Le parlava la notte, quando tutti dormivano e si poteva confidare. Quella notte la sua amica le disse: “Non ti arrendere! Non smettere di sperare! Domani recati da sola sulla vetta più alta del Gennargentu, fai una preghiera e aspetta!” Nevina non capì perché la sua amica le avesse sussurrato queste parole ma nonostante questo si promise di seguire il suo consiglio. Si addormentò e sognò di trovarsi alla corte del re e di portare il velo da matrimonio più lungo. Il re le sorrise, disse di ricordarsi di lei, e la scelse tra tutte.Al suo risveglio Angelina Porcu riunì tutte le donne e le ragazze che avevano cucito e ricamato il velo ordinando loro di sostenerlo mentre avrebbe sfilato nel palazzo reale. Quale non fu la sua collera quando si accorse che Nevina non si trovava tra le sue damigelle! La fece cercare dai suoi dipendenti ma di lei nessuna traccia.Nevina aveva fatto come la sua amica le aveva detto. Si trovava sulla cima più alta del Gennargentu e guardava le carrozze arrivare alla corte del re. Il re le accoglieva ad una ad una personalmente sul viale di accesso al palazzo. Qualcuno fece notare: “Sire, nevica sul Gennargentu!” Per quanto insolito per il mese di aprile il re vide che effettivamente stava nevicando sulla cima più alta della Sardegna. Poi, accorgendosi che sulla vetta c’era una donna, chiese di chi si potesse trattare. “E’ Nevina, disse un cortigiano con un lungo cannocchiale, la figlia del sarto.”Continuava a nevicare. Nevicò così tanto che il monte si coprì di un velo nevoso facendo sembrare la bella Nevina una giovane sposa con un immenso velo da matrimonio. Il re riconobbe in Nevina la ragazza che da tempo amava e che finalmente poteva sposare.
Leggenda 3 [Raccontata dalla signora Pau Elmina di Fluminimattzai in data 22 agosto 1900]:
Il pastore Carmine Brundu e la moglie Franca Spissu non hanno figli. Una notte la moglie sogna di un bambino fatto tutto di ricotta che segue il marito e si comporta come se ne fosse il figlio. A un certo punto il bambino si rivolge a lei dicendole: se davvero vuoi un figlio dì a tuo marito di seminare a cipolle il campo di Satt’e idda. Tutti sanno che quel campo è sterile e da sempre non ha mai dato frutti a causa della maledizione di una strega malvagia. Che il campo di Satt’e idda potesse dare frutto sembrò tanto assurdo che la signora che se ne stette in silenzio e non disse quindi nulla al marito. Un mese più tardi fece lo stesso sogno ma questa volta il bambino di ricotta l’implorava di fare quando diceva. La signora raccontò allora del sogno al marito che seminò il giorno stesso il campo maledetto. Alcuni mesi dopo, quando videro le piantine spuntare poi le belle cipolle dorate, la coppia si mise a sperare. Un giorno la signora Brundu s’accorge di essere in dolce attesa. Nacque un bel bambino biondo che era lo specchio della salute.


Henry Donald Johnson

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