Piccole, allegre, spensierate e felici stelle si rincorrono
nella volta celeste di un mattino di primavera cittadino,
facendo girotondi e capriole con grande disinvoltura.
Vorrebbero andare.
Poter sorvolare oceani, valicare monti e attraversare pianure.
Raggiungere l’altra metà del cielo in tutta libertà.
Ma l’uomo del cyberspazio con piglio autorevole
sbarra loro il cammino.
Sotto l’albero del villaggio intanto,
al riparo dalla sfera infuocata del sole,
bimbi dai volti d’ebano, dai capelli
ricciuti e dai pedini scalzi giocano sognando
zucchero filato e leccornie d’ogni genere
su di una molto improbabile tavola imbandita.
Il cane ruzzola sbilenco nella polvere dietro una palla di stracci,
il gatto acciambellato guarda
sornione la scena e a tratti socchiude gli occhi.
Ma il rintocco della campana di mezzodì
copre improvvisamente e più forte che mai
le voci garrule.
L’ora del gioco è finita.
Si torna a casa.
Si torna ai lavori usati.
Anche il sogno è terminato.
Sogno di poeta.
Sogno di bambino.
Ukundimana