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In una piazza dei bambini avevano costruito un pupazzo di neve, proprio al centro del paese, davanti all’unica chiesa. La neve continuava a cadere e mentre nell’aria echeggiavano le note dell’organo, le persone camminavano per la piazza girandogli attorno.
L’uomo di neve era veramente grande, sembrava proprio un uomo vero: indossava un vecchio cilindro sbiadito, sciarpa a righe gialle e blu, una pipa in bocca e al posto degli occhi e del naso i bambini avevano messo due grandi bottoni neri e una carota. L’inverno era inoltrato, il gelo soffiava per le strade, la gente si stringeva nei cappotti e nelle sciarpe mentre correva da un negozio all’altro, tenendo tra le mani pacchetti colorati, ma nessuno faceva caso al pupazzo di neve.
Tutti erano raggianti, ogni bambino che si vedesse per le vie sorrideva. Alcuni trascinavano i loro slittini per i viottoli in salita e si lanciavano festosamente con urla spensierate, gli adulti invece si scambiavano gli auguri ma non si fermavano neppure per guardarsi in faccia.
L’uomo di neve osservava tutto questo spettacolo e gli sembrava magnifico; le strade brillavano di luci, le vetrine dei negozi splendevano di doni e balocchi, non aveva mai visto tanti colori prima di allora, anche perché era al mondo solo da poche ore.
Era la sera della vigilia di Natale. Era in atto una grande festa quel giorno, ma lui non sapeva in che cosa di preciso consistesse, né tanto meno cosa significasse.
L’uomo di neve si guardava attorno e pensava che sicuramente gli altri ne sapevano molto più di lui, ma non osava chiedere. Forse lo avrebbero preso per un ignorante, forse l’avrebbero deriso, così si consumava nella curiosità e intanto continuava a osservare dal centro della piazza ogni via del paese e il flusso di persone che si congiungeva nel punto dove lui si trovava, per poi disperdersi dentro i negozi.
L’uomo di neve guardò il cielo e vide spesse nuvole grigie che coprivano la città come un manto morbido e fitto, avrebbe nevicato ancora per molte ore e lui aveva tutto il tempo di capire perché la gente andava e veniva in quel frenetico modo. Il crepuscolo cresceva e la neve che copriva le strade e le case sembrava risplendere d’azzurro.
Il pupazzo di neve vide passare una coppia di giovani innamorati. I due rimasero per un breve attimo a fissarsi negli occhi, poi si scambiarono un lungo bacio.
L’uomo di neve non sapeva cosa fosse un bacio, ma indovinò che si trattasse di un gesto d’affetto tra due persone, visto come quei due sorridevano. Poi entrambi si scambiarono due pacchetti, decorati con fiocchi rossi e sussurrarono queste parole l’uno all’altra:
«Buon Natale.»
Questo confuse ancora di più il pupazzo di neve.
«Natale dev’essere il motivo per il quale tutti sono così irrequieti oggi» ripeté tra sé. «Ma io non conosco il significato di questa parola. Forse ‘Natale’ è quella cosa che si sono scambiati? No, non credo.»
E rimase ancora più perplesso di prima. Ci sarebbe stato qualcuno in grado di spiegargli che cos’era il Natale? E dove l’avrebbe trovato?
Si guardò ancora attorno e cercò un amico a cui chiedere informazioni. Alzò gli occhi e vide un gigantesco albero di Natale che dominava dall’alto tutta la città, al centro esatto della piazza: era verde brillante e pieno di luci, sfere colorate e regali di ogni misura e colore pendevano dai suoi rami.
«Tu sei l’albero di Natale e abiti in questa piazza da molto più tempo di me. Nessuno meglio di te può spiegarmi cosa sia il Natale» disse il pupazzo di neve all’albero.
«Non chiederlo a me, io conosco solo quello che vedo ogni anno: persone che corrono da una parte all’altra come pazzi, regalandosi le cose più inutili e costose del mondo per poi buttarle via il giorno dopo. Di più non so dirti» rispose l’albero di Natale.
Ma l’omino di neve non riuscì a credere a quello che gli disse l’albero, non si perdette d’animo e aspettò paziente che qualcun altro gli spiegasse quello che non sapeva.
Gli passarono davanti una madre con il proprio bambino. Il piccolo piangeva perché voleva un nuovo giocattolo, anche se la madre aveva già le braccia piene di pacchetti colorati.
«Lo chiederò ai giocattoli» decise allora l’uomo di neve.
Alla sua destra vide uno dei tanti negozi di giochi e balocchi. La vetrina era di vetro e illuminata a giorno. Una bambola, un trenino, un aquilone e un burattino erano poggiati sulla mensola di legno e ogni bambino si fermava a guardarli. Alcuni piangevano e tiravano le gonne delle loro mamme per trascinarle dentro il negozio, anche se avevano già un gioco tra le mani.
«Che strano» si disse il pupazzo di neve. «Perché quei bambini fanno cadere tutta quell’acqua dagli occhi? Non hanno paura di sciogliersi?»
Si rivolse così ai giocattoli del negozio, sperando che almeno loro riuscissero a spiegargli qualcosa.
«Vuoi sapere cos’è il Natale?» rispose la bellissima bambola dai lunghi boccoli dorati e dall’abito di seta rosa. «Tutto quello che so, è che i bambini qui dentro piangono quando vogliono uno di noi, e non appena c’è un nuovo gioco in casa, ci rompono e ci maltrattano in tutti i modi possibili! I bambini sono tutti incontentabili e capricciosi.»
Il pupazzo di neve non credette nemmeno alle parole della bambola vanitosa. Non si scoraggiò e cercò ancora qualcuno che parlasse con lui di ciò che gli umani provavano quel giorno, qualcuno che gli dicesse finalmente la verità.
Dall’altra parte della strada vide un uomo e una donna avvolti in caldi cappotti di pelliccia, che passeggiavano mangiando delle fette di torta, erano appena usciti dal negozio di dolci.
Dietro la vetrina, sopra vassoi lucidi e argentati erano poste in ordine torte di panna e cioccolato, fette di dolci alla frutta, caramelle glassate, e altre prelibatezze. Dietro si intravedeva un camino di mattoni, il fuoco caldo illuminava la stanza e scoppiettava allegramente mentre i clienti uscivano con vassoi colmi di squisitezze.
«Il camino rimane acceso ogni Natale» disse l’uomo di neve. «Lui senz'altro saprà perché questo giorno è così speciale.»
Si rivolse così al camino del negozio di dolci.
«Non chiederlo a me» rispose il camino. «Io so solo che a Natale le persone si ingozzano e bevono, comprano un tacchino e lo arrostiscono, e dopo cena mangiano ancora dolci e torte. Anche se sono sazi continuano a mangiare, fino a divorare tutto quello che hanno comprato.»
Ma neppure questa volta l’uomo di neve credette alla spiegazione che gli fu data.
La neve continuava a cadere in soffici fiocchi e dal campanile della chiesa dodici rintocchi echeggiarono per tutta la città.
Lui sentì la festa nelle strade e nelle case, e mentre gli esseri umani festeggiavano, l’albero di Natale si dondolava con allegria cullato dal vento, i giocattoli delle vetrine ballavano senza sosta e il camino scoppiettava. Ovunque regnava il buon umore, ovunque, ma solo dove si vedevano tacchini arrosto, regali e un fuoco caldo.
L’omino di neve era ancora confuso e non sapeva come comportarsi. Non voleva festeggiare il Natale come tutti gli altri perché non ne comprendeva ancora il reale motivo. Improvvisamente gli si avvicinò un bambino, ma era diverso dai bambini che aveva visto fino a quel momento; era sporco e i suoi vestiti erano sdruciti, tremava dal freddo e sembrava affamato.
Gli altri bambini lo allontanavano e le mamme lo guardavano con un’aria di rimprovero, quasi come se fosse colpa sua non aver nessun giocattolo e nessun tacchino da mangiare quella sera.
Il pupazzo di neve si sentì molto vicino a quel bambino e addirittura gli sembrò molto più bello di tutti gli altri bambini che aveva visto giocare nella piazza, anche se loro avevano vestiti ricamati e cappelli nuovi. Guardò dentro gli occhi del piccolo e vide qualcosa che non aveva niente a che fare con i giocattoli costosi, con il gigantesco albero di Natale e con il camino caldo.
Il bambino si inginocchiò e rimase a fissare il pupazzo di neve. Di colpo, si mise a piangere.
«Perché piangi?» gli chiese l’uomo di neve.
«Oggi è il mio compleanno» rispose il bambino, che stranamente aveva la facoltà di sentire la sua voce.
«Allora piangi perché non hai ricevuto un regalo, non hai un albero di Natale e non hai un tacchino da mangiare questa sera» rispose l’uomo di neve.
«No» rispose il bambino povero. «Piango perché oggi sono nato, e un giorno dovrò morire. Per tutti quelli che tu oggi hai visto festeggiare il Natale.»
In quel momento l’omino notò che sia nelle sue mani che nei suoi piccoli piedi infreddoliti c’erano dei buchi, delle ferite ancora incrostate di sangue fresco.
«Non voglio che tu muoia» rispose il pupazzo di neve. «Dimmi cosa devo fare e io lo farò.»
I riccioli d’oro del piccolo si appoggiarono dolcemente sulla guancia dell’uomo di neve e il bambino disse «Puoi piangere per me. E io ti porterò in un luogo dove non sentirai più il freddo della neve e dove il tuo cuore diventerà di carne e pulserà vivo.»
Il bambino abbracciò l’omino con affetto, e grazie a quel caldo abbraccio, il freddo omino di neve provò un gran tepore, un calore che veniva dal cuore di quel piccolo petto. L’uomo di neve pianse per la prima volta da quando era stato creato e sentì che tutto il suo corpo si scioglieva lentamente in acqua.
L’indomani mattina i bambini avrebbero trovato al suo posto solo un po’ di neve sciolta e forse, ne avrebbero modellato un altro, ma a lui non importava perché adesso era davvero felice.
«Ora capisco» si disse l’uomo di neve e finalmente comprese qual era il significato di quel giorno particolare.
Capì quello che nessuno era stato in grado di spiegargli, quello che il maestoso albero di Natale, i giocattoli costosi e il camino ignoravano, e si sentì soddisfatto della sua breve esistenza. Non sapeva se quelle che ancora sentiva sulle guance erano le sue lacrime o acqua, ma nonostante tutto rimase così, abbracciato stretto a quel bambino, mentre le campane suonavano a festa e una stella brillava in cielo, più di ogni altra.
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