C’è una sensazione che si prova una volta cominciata la lettura dell’ultimo romanzo di Simone Perotti, l’autore del conosciuto Adesso basta!
Gregorio, impiegato in una multinazionale, viene prima sospeso e poi privato della scrivania, dell’ufficio e della mansione.
Accade anche a molti altri in quell’azienda, ma la reazione che ha Gregorio è unica.
Dopo qualche giorno di smarrimento e di inattività passato a gironzolare per uffici e piani mai visitati prima, Gregorio intraprende quasi senza rendersene conto una nuova attività fatta di consigli, piccoli aiuti ed osservazioni più generali circa l’organizzazione del lavoro aziendale, che dal suo nuovo punto di osservazione pare quasi asettica.
E’ in qui, in questo preciso momento, che nel lettore si innesca quell’empatia che porta ad immaginare come sarebbe differente una normale routine lavorativa se alcune delle cose che Gregorio mette in pratica venissero applicate normalmente in tutti gli uffici.
Come dice Simone Perotti nelle note finali del libro, Gregorio è un po’ il fratello di tutti noi, quello che ha il coraggio o l’ingenuità di fare quelle piccole e semplici cose che migliorano il clima tra colleghi e fanno del luogo di lavoro un posto nel quale l’entusiasmo convive con il dovere al punto da non farlo più sentire tale.
Tante idee che forse ciascuno di noi ha più volte espresso nel corso di chiacchierate all’insegna del “come si lavorerebbe meglio se… ”
“e pensare che non ci vorrebbe poi molto…”
“basterebbe così poco…”
Questa sensazione accompagna il lettore per diverse pagine, poi le cose cambiano.
Ad un certo punto del romanzo infatti, ci si accorge che lo stato d’animo non è più lo stesso.
Si è passati dalla sensazione che ciò di cui stavamo leggendo (giornale aziendale, mercatini, corsi serali autogestiti, eventi culturali e così via) fosse proprio lì a portata di mano, che mancasse davvero poco, forse solo un semplice atto di riconoscimento ufficiale da parte della direzione aziendale, ad un senso di disincanto che porta a pensare “si, vabbè, questo proprio non ci sta”.
Le iniziative di Gregorio non sono più così realistiche come all’inizio e l’autore si è lasciato prendere la mano perdendo il controllo della situazione.
Si procede fino alla fine del libro quasi come fosse un peccato, con il senso di ciò che poteva essere e non è stato.
Questa sensazione rischia di svalutare il senso del libro perchè quello che all’inizio era stato preso alla lettera, nella seconda parte va invece interpretato; se non si riesce in questa operazione si finisce col perdere molto.
A venire in aiuto sono ancora una volte le note finali che fanno capire che Perotti nel suo romanzo non vuole parlare di cose concrete, ma intende lanciare un messaggio ad ogni lettore e spingerlo a coltivare l’entusiasmo interiore lasciando la propria fantasia libera di correre senza freni.
L’uomo temporaneo è un libro che parla di ricerca interiore.
Tutti abbiamo una parte di Gregorio dentro di noi e sta a noi non lasciare che si spenga.
Quello che pareva un libro che da concreto si perdeva nel surreale, alla resa dei conti è tutt’altra cosa.
Potrà forse lasciare un po’ di amaro in bocca oppure potrà alimentare nuove energie.
Dipenderà dal lettore.
Tempo di lettura: 3h 31m