L’uomo verticale
Davide Longo, 2010
Fandango, 2010
400 pagine, 18 euro
In un futuro prossimo massicce invasioni di non meglio identificati esterni hanno messo in ginocchio l’Italia. Caos e anarchia hanno travolto il paese, precipitandolo in uno scenario apocalittico.
Le frontiere sono state chiuse, le forze dell’ordine sono ormai incapaci di tenere a freno gli episodi di violenza. Le grandi città sono state saccheggiate, e qualche barlume di calma apparente si può ritrovare solo nei piccoli paesi.
In uno di questi vive Leonardo, scrittore e professore d’università di mezza età che dopo uno scandalo sessuale che gli è costato il matrimonio si è ritirato in provincia con la sua immensa biblioteca, vivendo in solitudine.
La ricomparsa della moglie, che gli affida la figlia Lucia e il giovane Alberto, che la donna ha avuto da un secondo matrimonio, carica Leonardo di nuove, inaspettate responsabilità.
Quando il piccolo paese smette di essere un luogo sicuro, non resta che mettersi in viaggio. La meta è incerta, e molti sono i pericoli ad attendere il terzetto.
Il romanzo di Longo è stato spesso accostato a La strada di McCarthy, e le ragioni del paragone sono più che comprensibili se parliamo della cornice della vicenda. Profonde sono invece le differenze di stile: alla lingua scarnificata di McCarthy, Longo preferisce una prosa ricca di immagini, attenta a particolari e sfumature e capace di lasciare il segno.
Per circa metà del romanzo, la tecnica sembra però non messa al servizio di una storia all’altezza. Duecento pagine appaiono un po’ troppe per limitarsi a descrivere la solitaria routine del protagonista e il senso di minaccia che aleggia sul paese. E infatti si fanno sempre più frequenti i malinconici flashback, molto raccontati e a mio avviso non sempre necessari. Sono battute d’arresto che mi hanno un po’ infastidito, e che ho percepito come accessorie (forse anche a causa del paragone con l’essenzialità di McCarthy).
Insomma, attorno a pagina duecento ho iniziato a manifestare qualche perplessità.
Finisce un capitolo, ne inizia un altro, e il cambio di marcia si fa evidente sin dallle prime righe. Longo decide che è giunta l’ora di cominciare a far male ai suoi protagonisti (e non ci andrà leggero), e il romanzo diventa un ottimo romanzo.
L’accidia di Leonardo finalmente fa i conti con la barbarie, la sua cultura si sgretola di fronte alla lotta per la sopravvivenza. Le trasformazioni che hanno investito la normale convivenza tra esseri umani smettono di essere minacce potenziali e si manifestano in tutta la loro crudeltà.
Stupri, razzie, omicidi, bande di delinquenti, guru che predicano un ritorno alla vita selvaggia, timidi tentativi di ricostruire piccole enclavi di civiltà.
Le pagine adesso scorrono rapide, e con esse aumentano l’empatia e quel coinvolgimento che ti porta a continuare la lettura anche se mancano sempre meno ore alla sveglia.
Quando arriva il finale, quando ti rendi conto che Longo è riuscito persino a commuoverti un po’, be’, tutti i difetti precedenti appaiono trascurabili. E capisci che sì, L’uomo verticale è un libro che valga la pena di consigliare.
Pro:
- Lo stile di scrittura.
- La crescita e la presa di coraggio splatter di Leonardo.
- Tutta la seconda parte del romanzo.
Contro:
- Alcuni dei flashback sono gratuiti, e rallentano lo scorrere della vicenda.
- Non è un vero e proprio difetto, ma non capisco l’utilità di indicare le città solo con l’iniziale del nome, quando poi si citano per esteso le regioni di appartenenza.
La citazione:
Forse era questa la barbarie, pensò: un nuovo vocabolario e nuove immagini che a poco a poco si fanno strada. La prima parola era il cavallo di Troia. Dopodiché il pozzo era inquinato. Il germe si sarebbe riprodotto.