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La Babele dei 50mila software nei Comuni italiani

Da Pinobruno

Sostiene Emanuele Tonelli, responsabile del servizio informatico dell’Unione Reno Galliera[1], che i Comuni italiani sono una Babele digitale: 8100 comuni e 50mila software. Non è difficile credergli, basta fare un giro negli uffici pubblici, da nord a sud. La logica del campanile prevale sempre e ovunque ed è anche per questo che le pubbliche amministrazioni non riescono a dialogare tra loro e offrono servizi per lo più scadenti ai cittadini.

La Babele dei 50mila software nei Comuni italiani

Quasi inevitabilmente – scrive Tonelli nel suo intervento sul Forum PA – alle funzioni amministrative corrispondono i software per gestirle. Vediamo qualche esempio: sistema per la gestione dei demografici (carta d’identità, certificati), pratiche per permessi edilizi, riscossione dei tributi, gestione dei servizi sociali e scolastici, servizi per la polizia (gestione multe); a questi sistemi si aggiungono quelli che l’amministrazione usa per fare funzionare la propria macchina burocratica che tipicamente sono la gestione del personale, il bilancio, la gestione del sistema di protocollo e gli atti amministrativi. Abbiamo semplificato molto in quanto nella pratica i sistemi sono molti di più, ma se anche consideriamo una media di 6-7 software diversi per ogni comune siamo a circa 50mila moduli software potenziali diversi”.

La domanda successiva è inevitabilmente retorica: “Può la nostra amministrazione pubblica reggersi nel futuro con questo frazionamento”? No che non può. Tra l’altro, in tempi di tagli e razionalizzazione delle spese, è impensabile che si possa andare avanti così. Certo, ci sono comuni virtuosi che si associano per condividere esperienze, professionalità, reti e software, ma sono mosche bianche.

Emanuele Tonelli invoca “un coordinamento centrale, almeno a livello regionale, necessario per porre la PA davanti ai cittadini, come un’entità unica con un disegno comune”. Infatti “la tanto attesa riforma dell’istituzioni statali non può prescindere dalla revisione della Governance della ICT nelle amministrazioni locali”.

Già la Governance dell’eGovernment! Un’araba fenice che risorge sempre con nomi differenti: AIPA, CNIPA, DigitPA. Da qualche settimana c’è l’Agenzia per l’Italia Digitale. Non si può che convenire con la giurista Sarah Ungaro: “… sembra solo l’ultimo espediente di un Legislatore che pare voler dissimulare la perdurante assenza di investimenti in tecnologie digitali nel Paese, mediante la creazione di organismi ed enti sempre nuovi e preposti al coordinamento di future iniziative in materia”.

Ecco alcuni degli obiettivi della nuova (?) Agenzia:

- elabora indirizzi, regole tecniche e linee guida in materia di omogeneità dei linguaggi, delle procedure e degli standard, anche di tipo aperto, per la piena interoperabilità e cooperazione applicativa tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione e tra questi e i sistemi dell’Unione Europea;

- assicura l’uniformità tecnica dei sistemi informativi pubblici destinati ad erogare servizi ai cittadini ed alle imprese, garantendo livelli omogenei di qualità e fruibilità sul territorio nazionale, nonché la piena integrazione a livello europeo;

 - vigila sulla qualità dei servizi e sulla razionalizzazione della spesa in materia informatica, in collaborazione con CONSIP Spa, anche mediante la collaborazione inter-istituzionale nella fase progettuale e di gestione delle procedure di acquisizione dei beni e servizi, al fine di realizzare l’accelerazione dei processi di informatizzazione e risparmi di spesa.

Forse ricordo male, ma si tratta della stessa mission di AIPA, CNIPA e DigitPA.  Che, forse, avrebbero dovuto evitare la proliferazione di cinquantamila software in ottomilacento Comuni.



[1] Nasce dall’accordo tra otto Comuni della provincia di Bologna.


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