Uno dei compiti tanto propagandati del governo Letta, unitamente ai paesi europei interessati, rimane il rilancio della domanda interna, oltre alle tappe del processo di completamento dell’integrazione economica e finanziaria europea: la ricapitalizzazione delle banche europee e l’Unione bancaria. Nel frattempo Standard & Poor’s continua a colpire gli istituti bancari italiani: è toccato a 18 banche italiane vedersi tagliare il rating. Soltanto Intesa Sampaolo, Unicredit e Mediobanca hanno visto confermare il giudizio “BBB”; per il resto delle banche è ulteriormente calato diventando spazzatura.
La decisione presa è conseguenza del downgrade dell’Italia da BBB+ a BBB due settimane orsono. Una stima del Pil -1,9% (per il prossimo anno) condizionerà la capacità delle banche di remunerare il capitale, il costo del rischio di default per i finanziamenti concessi e i costi della provvista rispetto ai concorrenti europei.
Si dice (cfr., Il Bollettino della Banca d’Italia) che l’economia italiana ha operato un intenso processo di aggiustamento fiscale, in tema di contenimento del deficit e avanzo primario, ma il prezzo pagato è altissimo in termine di recessione, deindustrializzazione e aumento della disoccupazione. E’ in corso una profonda erosione della nostra base industriale.
In gioco c’è la possibilità di sopravvivenza di migliaia e migliaia d imprese che, pur in presenza di una loro internazionalizzazione e con numeri esigui, rappresentano soltanto un quarto del sistema produttivo; il resto versa in gravi condizioni come testimonia il fatto che si è perso il 15% del manifatturiero ed il 25% del sistema industriale.
La stima del Fmi per l’Eurozona è un elevato rischio di stagnazione, con l’aggravante di “sottostanti pressioni deflazionistiche”, di “tensioni sociali. politiche e ricadute sull’economia globale”
Si afferma con una certa sicumera che la crisi ricorda molto il ’29 ma La Grassa al contrario la paragonò alla lunga depressione di fine ‘800. “Una crisi che non conobbe sprofondamenti (economici) drammatici, avvenuta nel pieno della “seconda rivoluzione industriale”(cioè in un’epoca di grandi innovazioni), tutto sommato una fase storica in cui, soprattutto nell’area del capitalismo avanzato dell’epoca, non vi furono nemmeno eventi bellici di grande rilievo (che sarebbero poi scoppiati nel corso del XX secolo). Il cosiddetto trend della crisi fu relativamente piatto, ma con ondulazioni all’in giù come all’in su; quindi con un alternarsi di cadute per null’affatto verticali (né generali) e di modeste crescite di tipo di quelle che oggi vengono definite “ripresine”.(”cfr. Quali prospettive(Al momento pessime)?,di GLG 11 luglio ’13).
GIANNI DUCHINI, luglio ‘13