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La balma dei Cervi: la preghiera degli Dei.

Creato il 22 ottobre 2014 da Il Viaggiatore Ignorante

La balma dei Cervi: la preghiera degli Dei.

Nel 2012, quando la sovrintendenza ha ufficializzato la scoperta e ha posto sotto la sua protezione la Balma dei Cervi in Valle Antigorio, mantenendone segreta l'ubicazione, riscontrava che " si sono avuti alcuni distacchi della crosta calcarea, con l'asportazione delle pitture; alcuni distacchi sono in corso con margini sollevati di 1 o 2 mm". Nella nostra breve visita due anni dopo, la delicata situazione in cui le pitture versano è stata inequivocabilmente evidente anche ai nostri occhi inesperti. È un miracolo che questi inestimabili messaggi sulla roccia siano ancora lì dopo millenni.

Abbiamo raggiunto la balma non per curiosità, ma per raccontare, sensibilizzare e invitare al rispetto, affinché il nostro patrimonio non vada distrutto e dimenticato. Non riveleremo dove si trova. Questo gioiello deve rimanere segreto per rimanere protetto.

Ci appelliamo dunque affinché tutte le autorità provvedano al più presto

alla loro messa in sicurezza, così come già ampiamente promesso e prospettato.

E ci appelliamo a tutti voi affinché il vostro desiderio di avvicinarle, per quanto comprensibile,

alimenti invece il buon senso e il rispetto verso questo dono meraviglioso che viene da lontano.

Ci appelliamo affinché la Balma continui ad essere per l'umanità.

I n questa terra, segnata dalla storia, qualcosa sfugge.

I nostri occhi tanta vita hanno visto passare, ma qui, ora, non guardiamo con gli occhi, guardiamo con il cuore.

C'é una balma, da qualche parte in valle Antigorio, nell'estremo nord del Piemonte e dell'Ossola, alla quale solo i cervi salgono. Pare un grande orecchio teso ad ascoltare il ruggito distante del fiume. Sul colmo del rigonfiamento che sporge quasi come una mensola, a circa 1 metro e mezzo d'altezza, giace, nel silenzio, il più vasto e forse antico complesso di pitture rupestri delle Alpi Occidentali. Sono almeno una quindicina i siti noti, tra cui il Balm d'la Vardaiola dell'Alpe Veglia, a poche decine di chilometri di distanza, la Rocca di Cavour, la Balma 'd Mondon in val Pellice e Ponte Raut in val Germanasca, con cui sembrano avere molto in comune, ma le pitture antigoriane li superano tutti.

La fascia dipinta, lunga circa sei/sette metri è coperta di almeno una quarantina di pitture in ocra rossa di sfumature volutamente differenti, tracciate con la certezza e la calma di chi sa cosa significano. Un punto, un solo punto apre la narrazione che, poi, si sviluppa in almeno quattro zone, come capitoli di un libro, su un leggero strato candido di aragonite, depositata dall'umidità che percola dalla balma. Un altro punto conclude la storia. "Oranti in preghiera" simili a quelli camuni o a certe figurazioni "tombali" sarde si alternano a file di punti, recinti, simboli antropomorfi, ombre vive di una realtà che non sappiamo più riconoscere. Mai sapremo davvero di quale racconto si tratti, mai riusciremo a leggerlo.

È un racconto di eroi e di dee, il ricordo del tempo perduto in cui l'uomo parlava con le stelle. Sono simboli, concetti, astrazioni, di cui forse non capiremo mai la verità e l'essenza, poiché proprio non lo meritiamo. Ma dalla compassione di cui la natura ci fa partecipi, nonostante la nostra tendenza irrefrenabile a oltraggiarla, i segni della sua presenza sono riemersi nel 2008.

Se davvero è opera, come si pensa, di cacciatori eneolitici, non dovrebbe sorprendere che, millenni dopo, a imbattersi in questa scoperta sia stato proprio un loro lontano discendente. Solo un cacciatore si sarebbe spinto fino a quella balma, solo un cacciatore avrebbe potuto riconoscere i segni eterni lasciati dai suoi "avi".

Altri anni sono poi occorsi prima che i tempi fossero adatti. Finché, nel novembre del 2011, poco distante da quello stesso luogo, un archeologo ha riconosciuto nelle foto quello che il cacciatore sapeva nel cuore.

Per ora non sono state rinvenute tracce di una permanenza dell'uomo in questo luogo, talmente sacro che sulla sua essenza religiosa sono d'accordo perfino gli storici e gli archeologi. Mani esperte e degne ebbero dalla natura, una volta soltanto, il permesso di scrivere su queste rocce parole eterne. Poi, su di esse, la Madre delle madri fece prodigiosamente scendere un sottile manto traslucido di concrezione calcarea, per proteggerle. E con esso, provvide ad avvolgerle nel giusto oblio che anche oggi dovremmo osservare.

Quando il cacciatore e l'archeologo la raggiunsero insieme per la prima volta, c'era un cervo ad aspettarli, il totem di quel luogo ancestrale, il suo vigile custode e fondamento. Solo i cervi infatti salgono alla balma, da quando il mondo l'ha plasmata. La raggiungono per strofinare le "corna" contro la roccia scintillante, dove sanno di avere il permesso per compiere quel rito naturale. Nessuna pittura è stata toccata dalle loro ruvide impalcature. Vengono tra la primavera e l'estate ad affilare e perfezionare i palchi con cui conquisteranno le femmine e sfregando, rendono più viva e feconda la dura roccia. Tornano solo nel più gelido inverno, i "tori delle fate", per lasciarli come fiori sulla soglia della casa dove la loro amata dimora. E in quel ritmo raccontano la storia di tutto ciò che esiste. Nell'abbraccio della balma il cervo nasce, muore e morendo torna a nuova vita.

Di quegli "omini" dipinti alla balma, che paiono a tratti visitatori spaziali, perché giungono da epoche remote che non conosciamo veramente, dall'Era dell'Orsa, del Cinghiale Bianco e del Signore dei Boschi, si scrive, con tono asettico, che essi sarebbero "figure antropomorfe schematiche con le braccia alzate". Eppure il fanciullino silente in ognuno di noi, " che non solo ha brividi [...] ma lagrime ancora e tripudi suoi ", guardando meglio ci spinge a sfuggire ai sensi e alla ragione per cercare nuovi significati. E allora in quelle "braccia" alzate, compaiono d'improvviso i profili dei palchi di cervo, in quelle "gambette" storte e sproporzionate le zampe possenti del sacro animale. Gli antropomorfismi pareidolici cedono subito il passo alla contemplazione della potenza di quei simboli, della forza universale che quei segni rappresentano ed esprimono.

I puntini pare formino "recinti", "catapulte", "ghirlande", corde che legano". Ma chi li fece, con davanti agli occhi le macchie bianche sul manto dei piccoli di cervo, li plasmò in forma di gocce e li disegnò facendo delicatamente leva con il dito sulla roccia, come a voler imprimere a ciascun punto il movimento vitale.

Poco a poco le fessure naturali, i rigonfiamenti, tutto su quella roccia pare vivo e pregno di sensi e significati impossibili da immaginare. Infine, anche quel triangolo fatto di punti e di "omini", che i pochi fortunati visitatori d'istinto hanno definito "aquila" e l'innocenza di una bambina "la valle in mezzo alle montagne", lo riconosci.

Quel profilo non è che il muso, il naso, della Bianca Regina dei Cervi, il cui alito dolcissimo emana parole di tenerezza per il mondo. Forse quei simboli sono allora, le idee pure, i progetti, la danza cosmica dei pensieri di quell'Intelligenza che ha creato ogni cosa.

Tra quei pensieri, uno è di certo per noi piccoli uomini, particelle infinitesimali nella grandiosità della creazione. Chissà che non porti un messaggio quel "capovolto", a testa in giù e con un arco sulla testa... dicono che quello tra i "cacciatori" invitati alla Balma che lo dipinse, quel Buonarroti della preistoria, lo fece mettendosi a testa in giù altrimenti non ci arrivava e da quella posizione non poteva che disegnarlo al contrario...

Eppure è un simbolo già visto: i gitani, che in tarda primavera e in autunno si riuniscono in Provenza, lo chiamano "l'uomo che afferra il cielo", stilizzazione del primo arcano dei tarocchi zingari. Nelle sue sembianze involgarite si cela l'antico Mercurio, messaggero degli dei. Lì, sulla parete della balma, così capovolto, pare proprio Hermes che porta il messaggio del cielo sulla terra. Anzi, che porta il cielo sulla terra, come a voler dire che il "cielo", che tanto cerchiamo, è in "terra". O, meglio, che l'unica strada per giungere al Cielo è la Terra.

La terra è mamma e maestra misericordiosa, mai matrigna.

Attese che uomini degni nascessero in quella valle e li accolse in quel preciso punto affinché disegnassero il suo messaggio.

Al resto avrebbe provveduto il vento di Nord Ovest soffiando, come le brezze degli altopiani asiatici sui cordoni dei mantra tibetani, su quelle preghiere di tenerezza, custodite dal "bestiame della Dea", che la Natura rivolge incessante all'uomo:" Abbi fiducia in me ".

La balma dei Cervi: la preghiera degli Dei.


Per la post produzione delle fotografie inserite in questo articolo si ringrazia l'amico Minghini Yuri.
BIBLIOGRAFIA
*Alberto De Giuli e Ausilio Priuli, Le pitture parietali della "Balma dei Cervi" in valle Antigorio - nota preliminare, in Oscellana XLII, 2012, Ed. Oscellana, 2012
*Francesco Rubat-Borel con Angelo Carlone e Andrea Arcà, Crodo. Balma dei Cervi, in Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, nr. 28, Torino, 2013
*Maria Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Venexia, Roma, 2008
*Gaudenzio Ragazzi, Iconografia preistorica e Coreutica: la Danza alle porte del Cosmo, in Atti del XV seminario dell'Associazione Ligure per lo Sviluppo degli Studi Archeostronomici, Sestri Ponente, 2013
*Massimo Centini, Mito Religione Magia, Ed. Mediterranee, Roma, 1997
*Julien Ries, L'uomo e il sacro nella storia dell'umanità, Jaca Book, Milano, 2007
*James David Lewis-Williams, A cosmos in stone - Interpreting Religion and Society Through Rock Art, Rowman Altamira, LanHam, Maryland, Usa, 2002
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*Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, Rizzoli, Milano, 1992
*Julian Jaynes, Il Crollo della mente bicamerale e la nascita della coscienza, Adelphi, Milano, 1996


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