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La bambina dagli occhi cobalto

Da Elys
La bambina dagli occhi cobalto

Il fumo della sigaretta s’addensa nell’aria della sera. Immobile sulla terrazza, lo sguardo puntato in basso, aspetta che arrivi. Puntuale il persiano bianco salta sul davanzale del palazzo di fronte e si ferma. Miagola, forse addirittura guaisce, gratta il vetro e scruta, in attesa. Matteo si avvicina alla ringhiera, appoggia le braccia sul ferro e tira un’altra boccata. Gli occhi, azzurro di cieli estivi, fissano l’edificio.

La finestra si apre. Mani bianche, affusolate, si muovono incerte alla luce del tramonto. Il felino si accuccia. Iridi cobalto si posano sulla sua figura aggraziata. Ancora un miagolio. L’uomo getta via la cicca. Sorride.

La bambina accarezza il dorso dell’animale. Ciocche miele sfiorano il pelo folto. Un tramonto rosso sangue incendia i muri delle case e si riflette negli appartamenti in riverberi screziati d’arancio e porpora. La ragazzina parla ma la voce arriva alle orecchie dello sconosciuto in un brusio confuso alle auto di passaggio sulla strada principale. Si sporge un po’ verso il basso per cogliere anche solo una sillaba.

«Vuoi cadere giù?»

La voce di Paola lo costringe a tornare dritto e a voltarsi.

«Cosa?»

«Ho detto, vuoi cadere giù?»

La moglie lo guarda seria. Avanza sul balcone, allacciandosi il grembiule. Lui alza le spalle e con una mano si scansa i capelli castani dalla fronte.

«Non riesco mai a sentire che dice.»

«Se continui a spiarla, qualcuno ti denuncerà prima o poi.»

«Ma dai … non sono un criminale.»

«La gente pensa sempre male.»

Matteo rimane in silenzio. Si avvicina e la circonda con le braccia.

«Dì piuttosto … hai pensato a quello che ti ho chiesto?»

Stavolta è lei a tacere. Lo sguardo verde e vivace si smarrisce nei contorni regolari del volto di Giulia. Dà i croccantini al persiano, raccogliendoli in un piattino di plastica.

«Non sono ancora pronta. Magari …» Esita. «Più in là.» Dice in un sospiro nervoso mentre si libera dalla presa.«Vado a infornare le patate che altrimenti stasera digiuniamo.»

S’inoltra nella sala. Il marito resta qualche minuto a fissare la soglia vuota, poi riprende a seguire i movimenti della piccola vicina, adagiando il mento tra i palmi aperti. Il gatto struscia il muso sulla sua guancia. Vuole coccole. Lei ride divertita e l’accontenta, stringendoselo al petto.

Il cigolio del forno aperto e poi chiuso rompe il silenzio della casa.

Resterebbe là fuori tutta la sera se potesse. È il suo rito. L’illusione necessaria per mettere a tacere i suoi avvilenti demoni.

Il persiano beve dalla ciotola tenuta da Giulia. Le regala ancora qualche fusa prima di scivolare sul cornicione e svanire tra i gelsomini del prato. La ragazzina torna nella camera chiudendo la finestra.

La notte, in procinto di nascere, cancella gli ultimi residui del giorno.

Una notte senza scampo. Nera di sogni spezzati e speranze rinnegate. La sala è inghiottita dal buio. Dalla cucina filtra la luce accesa della cappa. L’acqua bolle nel pentolino. Paola se ne sta ferma accanto al forno ad osservarla. Non riesce a chiudere occhio. Matteo dorme e per non disturbarlo, rigirandosi di continuo nel letto, ha deciso di alzarsi e di prepararsi una camomilla. Chissà che non l’aiuti. È ossessionata sempre dallo stesso sogno. La perseguita da quanto? Una settimana? No, forse due. Forse da quando il marito le ha fatto quella richiesta: facciamo un bambino. O magari da prima, da sempre, dal momento in cui hanno messo piede in quella casa e la ragazzina bionda s’è affacciata alla finestra, coccolando quel gatto. Già. Il persiano.

Immerge la bustina nel liquido caldo, aiutandosi con un cucchiaino. Subito un profumo dolciastro si diffonde nell’ambiente, imprimendosi sulla sua pelle. C’è sempre quell’animale nei suoi incubi e Giulia e quegli occhi cobalto.

S’irrigidisce. I muscoli del collo si contraggono.

«Non posso.»

Sussurra a mezza bocca e trattiene le lacrime venute ad affacciarsi sugli zigomi.

Non glielo potrà mai dare un figlio. Non sarà mai pronta a farlo.

«Paola … che fai in piedi?»

Matteo è fermo sulla soglia. Ha un’aria assonnata.

«Niente, non riesco a dormire. Scusami se ti ho svegliato.»

«Non importa. Hai fatto brutti sogni?»

La donna non risponde. Versa la camomilla nella tazza e si siede a tavola, tirando una gamba al petto.

«Paola …»

«Matteo sto bene. È la solita insonnia.»

L’uomo si passa una mano sul viso, accostandosi a lei. Le prende una mano e incrocia le dita con le sue. È un equilibrio fragile quello. Prima o poi si spezzerà: lo sente. Non avrebbe dovuto farle quella proposta e se potesse la cancellerebbe, annegando in un silenzio che sa di bugie.

Trae un respiro profondo. Lei tiene gli occhi bassi, sul pavimento.

Si sporge e adagia la fronte contro la sua.

Muove le labbra ma non emette alcun suono. Le parole gli muoiono nella gola.

Paola lo circonda con il braccio libero e nasconde il viso nel suo ventre. Soffoca un singhiozzo, nonostante vorrebbe urlare. Lo ama e questo amore la distrugge. La costringe a negare quanto ha capito. A sopportare quell’abitudine dannata.

Un ennesimo tramonto rosso avvolge la città e i palazzi, andando a morire sull’orizzonte di metallo e mattoni.

Fa freddo in questo giorno. Settembre diventa il preannuncio dell’autunno. Il vento gelido del nord accarezza i platani e li fa muovere lenti, strappando via qualche foglia venata di giallo.

Il persiano bianco se ne sta appollaiato sul solito terrazzo di una casa che non appartiene a nessuno. Attento volta il muso in direzione dell’edificio di fronte. La finestra si apre e Matteo esce fuori, come ogni sera. Si fissano immobili. Il felino miagola e salta verso il basso. Chiama Giulia. Tutto si ripete.

L’uomo sorride e si passa le dita sulla barba incolta. Dentro non si sente alcun rumore, la casa è vuota e silenziosa. Paola deve ancora rientrare.

Assorto adagia le braccia sulla balaustra e il gelo del ferro lo scuote, facendolo rabbrividire. La bambina saluta il gatto ridendo allegra, fruga nella busta dei croccantini e inizia a metterli nel piattino, accanto alla ciotola dell’acqua. Di tanto in tanto gli parla ma la sua voce, sottile come seta, si perde tra i frastuoni metropolitani. Il felino le si struscia addosso. Lo bacia tra le orecchie, solleva lo sguardo in alto e resta ferma a osservare Matteo. Le sue iridi cobalto si perdono in quelle azzurre dell’altro.

Se potesse, lui, fermerebbe il tempo.

«Sei stato tu?»

Giulia grida, cercando di superare il caos, di vincere sul mondo.

Il ragazzo sussulta e stringe la ringhiera.

«Mi senti? Sei stato tu a regalarmelo?»

Chiede di nuovo e solleva un po’ l’animale nella sua direzione.

«Perché non rispondi?»

La domanda di Paola arriva violenta dietro le spalle. S’è fermata poco oltre la soglia della terrazza e l’osserva.

«Paola … ascolta …»

«No! Stai zitto! Quanto pensavi che c’avrei messo a capirlo? Quanto?»

«Te l’avrei detto …»

«Quando? Quando?»

Esce fuori. Le guance bagnate di pianto. Matteo morde il labbro inferiore. Giulia li fissa confusa. Il gatto si svincola dalla presa e fugge. Il mangime si sparge sul davanzale.

«No … cavolo … Alex dove vai? Torna qui!»

L’animale s’infila tra i gelsomini. La ragazzina abbassa lo sguardo delusa. Torna nella stanza chiudendo la finestra.

«Perché mi hai chiesto di fare un bambino? Per lavarti la coscienza?»

«No, io voglio davvero costruire una famiglia con te.»

«E dimmi … dimmi come pensi di farlo qui?»

La donna si copre il volto con entrambe le mani. Matteo rimane in silenzio.

«Mio Dio Matteo … come hai potuto farmi una cosa del genere?»

«Volevo dirti di Giulia … ma … ma ho avuto paura. Avevi appena ricominciato a fidarti di me … io … io non volevo … non voglio perderti, Paola.»

Si avvicina ma lei indietreggia.

«Non toccarmi.»

«Paola, ascoltami. Ti prego. Ti prego. Tra me e Agatha non c’è più niente. Ho saputo di Giulia per caso … io … volevo solo vegliare su di lei … da lontano … Agatha non vuole neanche che l’avvicini o che le parli.»

Paola scuote la nuca. Appoggia la schiena contro lo stipite. Il volto scavato dalla sofferenza.

«Allora andiamo via da qui.»

L’uomo s’irrigidisce. Serra i denti così forte che quasi stridono gli uni contro gli altri.

La donna si lascia scivolare a terra. Il suo pianto irrompe nella quiete casalinga in un singhiozzo acuto.

È un pomeriggio senza sole quello che è appena arrivato. Nuvole grigie attraversano il cielo e i tuoni, caduti in lontananza, preannunciano tempesta. L’aria dà quasi l’impressione di cristallizzarsi nel ruggito di ottobre.

«Mi raccomando però, non farlo salire sui letti e sui divani, ok?»

«Ma sì, ma sì.»

Cammina a passi incerti Giulia, portando con sé una cuccia. È per il gatto. Il freddo non perdona e lei non vuole che si ammali a fare il vagabondo in giro. La madre abbozza un riso divertito.

«Sei sicura di farcela? Se vuoi la porto io.»

«Ce la faccio, mica è pesante!»

«Va bene, ah guarda chi arriva, deve averti sentita.»

Da dietro un’auto spunta il persiano seguito da Matteo, ventiquattrore in una mano, chiavi dell’auto nell’altra. Si ferma. Agatha lo guarda in silenzio. La bambina solleva il volto verso di lui.

«Ciao, signore.»

L’uomo esita per un attimo, prima di rispondere.

«Ciao, bambina.»

«Allora me lo dici se sei stato tu, adesso?»

«Sì, te l’ho regalato io … Alex.»

Giulia tace. Affida la cuccia alla donna e si avvicina a lui.

«Grazie, signore.»

Si sporge e l’abbraccia, affondando la faccia nel suo collo.

«È stato un bellissimo regalo di Natale.»

Matteo la stringe a sé. Le labbra si piegano in un sorriso dolce, mimando un muto ti voglio bene.

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