Autore: Hannah Arendt
Titolo: La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme
Titolo originale: Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil
Genere: Saggistica
Data prima pubblicazione: 1963 (in Italia nel 1992)
Casa Editrice: Feltrinelli
Collana: Universale economica
320 pagine
Prezzo copertina: 9,50 €
EAN 9788807816406
Hannah Arendt l’ho tenuta per ultima, ma non certo per importanza (last but not at least, direbbero gli inglesi). L’ho conosciuta al liceo, ma l’ho apprezzata fino in fondo solo all’università, nel corso di Filosofia politica tenuto dalla professoressa Cavarero; uno dei corsi più belli e più formativi.
Hannah Arendt era un’ebrea tedesca di famiglia benestante, allieva di Heidegger (con il quale ebbe anche una tresca) e rifugiata politica a Parigi e poi negli Stati Uniti, dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche.
La banalità del male è uno dei suoi libri più potenti: è una raccolta dei reportage che la scrittrice pubblicò sul New Yorker durante il processo ad Adolf Eichmann.
Qui vengono ripresi tanti dei temi già trattati dall’autrice nella sua opera più famosa Le origini del totalitarismo. Uno su tutti la convinzione che il male perpetrato da Eichmann e dagli altri criminali nazisti fosse dovuto a una profonda inconsapevolezza delle loro azioni.
Le domande che si pone la Arendt e le risposte scomode che ne ricava ci pongono davanti un Eichmann tutt’altro che “mostruoso”. Un uomo banale, piccolo (moralmente) e terribilmente normale. Un burocrate come ce n’erano e ce ne sono tanti.
«Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme».
La constatazione più sconvolgente è che Eichmann non era uno stupido, ma la sua normalità lo rendeva ingiudicabile a se stesso. La sua incapacità di pensare (il “pensare” socratico, quello che ti fa dialogare con la tua interiorità) lo rendeva privo di ogni giudizio. La sua attività consisteva nell’applicare ed eseguire gli ordini che gli venivano impartiti, senza riflettere e domandarsi sulla loro correttezza.
«La mia opinione è che il male non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare a radici, ed nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”… solo il bene ha profondità e può essere integrale».
Questo libro chiude la mini rassegna dedicata alla Giornata della Memoria con tanti interrogativi, forse più di quelli che avevamo stamattina. Ma è giusto porsi delle domande – anche se temo non troveranno facili risposte – per continuare a stimolare la nostra sete di conoscenza. La lettura è anche questo: una fonte a cui dissetarsi per non rimanere aridi e ignoranti.