Accadde all’improvviso. In furioso ritardo sulla tabella di marcia generazionale, la fase adolescenziale in cui ci si lamenta del fatto che Bologna è provinciale e capitalista e non si vede l’ora di andarsene mi colse di sorpresa alla vigilia dei trent’anni, quando ormai non l’aspettavo più. A quel punto decisi che il lavoro ‘fisso’ poteva aspettare. Indecisa tra allevare pecore in Irlanda e acconciarmi i capelli in dreadlocks e partire per Barbados, me ne andai in Inghilterra. Fu più facile del previsto. Lasciai Bologna in un giorno di sole, colma di filiali sensi di colpa per aver preferito il Fish & Chips alle lasagne della nonna, con un paio di cd di Guccini nella valigia e London Calling dei Clash, esaltata all’idea di aver almeno momentaneamente rimandato il (per me) terrificante appuntamento con una vita dalle 'strade troppo strette e dritte per poter cambiar rotta' per citare Ligabue. Colpa de La Banda dei Cinque e della Rai che mandò in onda quella serie quando avevo otto anni. Serie tratta dai libri per ragazzi della scrittrice inglese Enid Blyton, che raccontava le avventure dei quattro vivaci cugini Kirrin - i fratelli Julian e Dick, la loro cugina Georgina e il suo cane Timmy, il quinto della banda. Ambientata negli anni Settanta in una bucolica (quanto immaginaria) Inghilterra, la serie abbondava in isole deserte, castelli in rovina e passaggi segreti in cui si nascondevano ladri e contrabbandieri che i nostri intrepidi investigatori, con la naturale tendenza dei bambini a ficcare il naso ovunque, contribuivano inevitabilmente ad assicurare alla giustizia. Uh!
Avrei voluto uscire dal portone di casa e vedere brughiere nebbiose e cespugli di ginestre spinose della campagna inglese. E invece ciò che vedevo erano i capannoni del Fiera District poco lontano, e campi coltivati a perdita d’occhio e una casa diroccata in cui si diceva avesse sostato Garibaldi. Era il 1978 e bastavano due pedalate per uscire dalla città. La vecchia strada su cui si affacciava il palazzo in cui abitavo era stretta, e dopo il vecchio ponte della ferrovia, scorreva tra due ali di campi di papaveri punteggiati da grandi case coloniche che testimoniavano la memoria di un passato contadino ancora tangibile. Alcune avevano ancora la stalla con mucche e maiali e l’aia popolata da anatre, galline, e gatti pigri che si scaldavano al sole. La strada stretta della mia infanzia ha lesciato il posto ad una foresta di svincoli per la tangenziale, per il cinema multisala, per entrare nei parcheggi della fiera e degli alberghi fatti per la fiera. Che ci vuole la mappa per districarsi. E ovviamente no alle biciclette.
(Questo post è dedicato a Je-est che non sa cos'è la Banda dei Cinque...)