La battaglia navale di Salamina fu l’evento bellico più importante e decisivo delle guerre che videro le Poleis greche opposte all’esercito invasore del Gran Re Serse di Persia. La battaglia navale ebbe luogo nel tratto di mare che separa l’isola di Salamina dalle coste dell’Attica; anche per questo scontro i greci utilizzarono la stessa tattica adottata alle Termopili e a capo Artemisio che consisteva nel cercare di annullare la superiorità numerica del nemico affrontandolo in uno spazio ridotto che non gli permettesse di dispiegare tutta la sua forza. Il protagonista indiscusso dell’evento bellico fu l’ateniese Temistocle che affrontò i persiani già nel 490 a.C. nella vittoriosa battaglia di Maratona. Temistocle non fu solo un abile condottiero militare, ma anche un accorto stratega che, attraverso la sua attività diplomatica e la sua capacità oratoria, permise ai greci di stringere delle alleanze tra le varie città-stato e ad Atene di dotarsi di un’efficace flotta in grado di tenere testa al colosso persiano e ai molti contingenti inviati dai regni ad esso sottomessi. Dopo aver respinto i persiani a Maratona fu consapevole del fatto che il nemico, non accettando la sconfitta, avrebbe organizzato un’ invasione con un maggior numero di uomini e mezzi; egli fu anche il maggior sostenitore dell’opportunità che Atene si dotasse di una forte flotta perché si rese conto che le forze di terra da sole non bastavano. Al tempo dello scontro decisivo con i persiani Atene era sotto l’influenza della politica filo-aristocratica di Milziade; questa fazione politica era convinta che i persiani dopo la sconfitta non si sarebbero più presentati in Grecia e che la falange oplitica fosse più che sufficiente per la difesa della patria, riteneva quindi che una flotta da guerra non fosse necessaria. Temistocle dovette ricorrere a tutta la sua abilità oratoria e ad uno stratagemma per ottenere il suo scopo; Atene non disponeva di materie prime per la costruzione delle navi, però ebbe la fortuna di poter disporre delle ricchissime miniere d’argento del monte Laurion nelle quali fu scoperto un nuovo ricchissimo filone, questo tesoro sarebbe dovuto essere diviso tra gli ateniesi, però Temistocle riuscì a convincere i suoi concittadini a destinarlo alla costruzione della flotta facendo loro credere che la vicina isola di Egina facesse una forte azione di pirateria minacciando i commerci della città. Gli ateniesi, preoccupati per i loro guadagni, permisero allo stratega di utilizzare il tesoretto per la costruzione delle triremi.
Le triremi erano navi da guerra lunghe 35-40 metri, larghe soltanto 6-7metri e con un pescaggio ridottissimo, erano dotate di tre ordini di rematori (da cui il nome) capaci di spingerle contro il nemico a forte velocità (6-7 nodi circa), la prora era rinforzata da un rostro in legno ricoperto di bronzo che serviva a speronare e ad affondare le navi avversarie.
Le battaglie navali del mondo antico non prevedevano la distruzione a distanza del vascello nemico, la Trireme veniva utilizzata come un siluro che colpendo il nemico con il rostro sotto la linea di galleggiamento ne provocava l’affondamento. Solo quando i vascelli erano ormai a distanza talmente ravvicinata da impedire qualsiasi manovra diversiva si procedeva all’abbordaggio dell’imbarcazione nemica (nella battaglia di Salamina la fanteria pesante greca fu detterminante). Anche dal punto di vista politico Temistocle dimostrò un’abilità straordinaria, riuscì, infatti, nel difficilissimo compito di creare un’alleanza tra le Poleis greche mediando tra gli interessi e i particolarismi delle stesse a discapito del suo stesso prestigio cedendo il comando allo spartiate Euribiade. La lega degli elleni fu meno numerosa del previsto, infatti tutta la Grecia a nord dell’Attica, salvo i tespiesi e i beoti, si arresero ai persiani, quindi l’alleanza greca si ridusse a Sparta, Atene, Megara, Corinto, Egina, Calcis e altre 25 città dal contributo militare praticamente nullo. Temistocle era intenzionato a fermare i persiani nello stretto di Salamina per due motivi: era realmente convinto che solo in quel tratto di mare la flotta greca avrebbe avuto possibilità di vincere la guerra, e dopo aver visto la sua città in fiamme voleva impedire ai nemici di devastare il resto dell’Attica. Non tutti i greci erano favorevoli al piano dell’ateniese, la maggior parte di essi (tranne i megaresi) era convinta che bisognasse ritirarsi nel Peloponneso e difenderlo ad oltranza considerando l’Attica ormai perduta. Fu in questo frangente che, secondo Erodoto, Temistocle mise in atto uno stratagemma che indusse Serse a ingaggiare la battaglia nei pressi dell’isola di Salamina. Senza essere visto, lasciò la sala della riunione e mandò un suo servo e pedagogo dei suoi figli, un certo Sicinno, alle navi dei Medi. Sicinno riferì ai comandanti nemici che i greci meditavano di fuggire via mare e che agli invasori si presentava l’occasione di coglierli di sorpresa nelle acque tra Salamina e le coste dell’Attica. I persiani cascarono nel tranello e mossero la loro imponente flotta contro gli avversari confidando nella superiorità numerica a loro disposizione. Come in tutti gli episodi delle Guerre Persiane, anche in questo caso i greci si trovarono in netta inferiorità di uomini e mezzi: attraverso le fonti (soprattutto quelle erodotee) si calcola che la compagine ellenica disponesse di circa 370 navi in gran parte ateniesi e i persiani potessero contare su un numero di vascelli almeno doppio. Secondo Erodoto “di fronte agli ateniesi erano schierati i fenici, che occupavano l’ala verso Eleusi e occidente; di fronte agli spartani gli ioni, disposti sull’ala verso oriente e il Pireo”. L’angusto campo di battaglia era talmente ingombro di triremi che i marinai di Serse non poterono mettere in atto le loro manovre e far pesare la superiore perizia ed esperienza, infatti la maggior parte delle loro navi fu speronata ed affondata oppure abbordata dalla fanteria pesante greca. La battaglia volse presto in favore dei greci che lamentarono la perdita di sole 42 unità contro le circa 200 dei persiani, il braccio di mare in breve tempo fu invaso dai rottami e i soldati di Serse che cercavano scampo aggrappandovisi vennero in gran parte trucidati dagli ateniesi ansiosi di vendicare la distruzione della loro città. Erodoto riferisce che la battaglia fu costellata di atti di coraggio da entrambe le parti, i greci difendevano la loro terra con accanimento e i persiani erano galvanizzati dalla presenza del Gran Re, che si era fatto preparare un trono su un’altura per assistere al combattimento. Lo storico di Alicarnasso scrive che tra gli elleni i migliori furono gli egineti e che gli ateniesi gli furono di poco inferiori, infatti, gli abitanti dell’isola di Egina furono determinanti nell’affondare le navi che tentavano di sfuggire alle temibili triremi di Atene. Racconta inoltre un episodio accaduto ad Artemisia di Caria, unico comandante donna della flotta di Serse sulla quale gli ateniesi posero una taglia di 10.000 dracme per chi l’avesse catturata viva, reputando cosa indegna che una donna osasse minacciare Atene. Quando ormai la flotta del Gran Re era in rotta, la nave di Artemisia si trovò braccata da una nave attica senza possibilità di fuga, decise quindi di speronare ed affondare la trireme alleata dei Calindi con a bordo il loro re Damasitimo; il comandante della nave greca vedendo l’episodio, pensò che quella che stava inseguendo fosse un’imbarcazione amica o una nemica che stesse passando dall’altra parte, virò di bordo e puntò un altro obbiettivo. Questo fatto fruttò ad Artemisia un doppio guadagno: da una parte ebbe salva la vita, dall’altra i suo re osservando la sua mossa non si accorse che quella affondata dalla regina di Caria fosse una nave amica e lodò con i suoi consiglieri il suo coraggio pronunciando la famosa frase: “gli uomini mi sono diventati donne, e le donne uomini”. La vittoria dell’alleanza ellenica a Salamina fu determinante per la salvezza della Grecia, ancora una volta la tenacia e la capacità strategica si dimostrarono vincenti nei confronti della potenza e della superiorità numerica. Serse, resosi conto dell’inevitabile disfatta, abbandonò l’Attica, lasciando indietro il generale Mardonio con circa 300.000 soldati (secondo Erodoto) per tentare una conquista di terra, che vedrà il suo momento di svolta nella battaglia di Platea, ma questo evento bellico sarà oggetto del prossimo articolo.
Fabrizio e Giovanna
Riferimento bibliografico: Erototo, "Le Storie"- Libro VIII