“La battitura era il giorno più sudato dell’anno, ma anche il più atteso. Era la festa del grano.
Il grano si otteneva alla fine di una laboriosa aspettativa ma avrebbe assicurato il cibo essenziale per tutta la famiglia, per tutto l’anno”.
Nella storia del Pozzo della Chiana, in Valdichiana, si legge che “già la sera prima, la macchina (prima a vapore e solo più tardi a motore a scoppio), era lì sull’aia, ben calzata, nel posto giusto, la lunga cinghia tesa fra la grande ruota motrice e le pulegge, la trebbiatrice a preciso ridosso dell’alta bica.
La mattina, appena veniva un pò di luce, tutta la gente delle famiglie che si scambiavano l’aiuto si mettevano in movimento. Ognuno al posto prescelto o assegnato e la macchina ormai piena di fuoco prendeva il suo via fragoroso. La lunga cinghia iniziava il suo vorticoso percorso e gli uomini sulla bica gettavano sul ripiano della trebbiatrice le mannelle che venivano prese con le mani e infilate dentro la ruota dentata. La paglia cominciava ad uscire e a salire sulla scala mobile depositandosi per terra dove altri uomini coi rastrelli la tiravano indietro per formare il pagliaio. Dalle bocchette il grano usciva a cascata riempiendo i sacchi che via via venivano portati più lontano.
Le donne, con un fiasco d’acqua, uno di vino, e un bicchiere in mano passavano ogni tanto sull’aia per portare refrigerio a quegli uomini sudati e polverosi che si affaccendavano senza posa. E chi stava peggio di tutti, quel giorno, era l’uomo adibito alla lolla, cioè alla pula formata dagli involucri dei chicchi di grano che ogni qualvolta veniva rastrellata da sotto la trebbiatrice alzava un polverone irrespirabile. E il viso di quell’uomo si ricopriva a poco a poco di uno strato grigio oscuro che lo rendeva irriconoscibile, e non bastava il fazzoletto intorno al collo e il grande cappello di paglia tirato giù, a salvarlo da quel maledetto, acre, pulviscolo che penetrava in gola e un pò dovunque, e riempiva le narici.
Fortunatamente a rimetterlo in sesto c’era, per lui e per tutti, quel sostanzioso desinare che le massaie avevano predisposto sin dai giorni prima con abbondanti tirate di collo a oci e nane. I piatti pronti erano stati calati nel fresco del pozzo, per il giorno dopo. Di quelle cene e pranzi copiosi, cucinati nel migliore dei modi e consumati in allegria, si sarebbe parlato, a battiture finite, per lungo tempo”.
Pozzo della Chiana,
Storie e Immagini di un paese della Valdichiana,
Fotoclub Il Pozzo, 2000.