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La beatificazione di Lino

Creato il 02 febbraio 2016 da Pim

La rivalutazione di LinoTutte le volte che vedo Banfi comparire in qualche serie televisiva faccio sempre la stessa considerazione: lo preferivo di gran lunga in L'insegnante balla con tutta la classeLa dottoressa ci sta col colonnello.

La maschera che indossava nelle commedie erotiche degli Anni Settanta appariva più autentica, impregnata com'era di un sapore popolare schietto, genuino. Lino era bravissimo a caratterizzare i suoi personaggi, sempre un tono sopra le righe però mai semplici macchiette regionali dal respiro corto. Non voglio cadere nella trappola sempre aperta della rivalutazione del Kitsch, eppure quelle farse castigavant ridendo mores. Funzionavano cioè come cartine al tornasole dell'ipocrisia imperante nella nostra società: clericaldemocristiana, bigotta e perbenista, ma con l'occhio appoggiato al buco della serratura a spiare le nudità di Edwige Fenech.

Quel filone si è esaurito da un pezzo e Lino è stato l'attore che, meglio di altri, è riuscito a inserirsi nel genere nazionalpopolare della fiction di successo, melensa e consolatoria come impongono i gusti odierni. Buon per il suo portafoglio, buon per i dirigenti Rai e i pubblicitari tutti.

Capisco che non poteva ambire per tutta la vita alle grazie della bellona di turno senza cadere nel patetico. Le cerimonie di riconsiderazione (fino alla beatificazione) che i media officiano suonano tuttavia artificiose, risultato di un marketing accorto che ne ha ripulito la faccia consunta dall’uso artigianale. L’Italia del Duemila non somiglia a quella naïf degli Anni Settanta: il coraggio di mettere alla berlina i vizi nostrani, per quanto sconclusionato fosse, si è annacquato in una finta denuncia sociale piaciona che non fa neppure ridere (il riferimento a Checco Zalone non è casuale).


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