Ilaria Brera & Federica Padovani per Non solo Mozart
La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
col cappello alla romana
viva viva la Befana!
Con questa simpatica filastrocca o con una delle sue molteplici varianti molti di noi sono cresciuti, conservando nella mente i “dolci” ricordi del giorno che conclude le feste natalizie. Ma chi è veramente questa simpatica vecchietta in sella alla sua scopa, vestita di stracci e un po’ bruttina?
Per cercare le radici profonde di questo folkloristico e affascinante personaggio dobbiamo per prima cosa fare un salto indietro nel tempo. In tutte le religioni più arcaiche infatti ricorre la figura della Grande Madre, personificazione della Natura, Signora della Vita, che durante il corso dell’anno segue il ciclo vitale delle stagioni: giovane fanciulla in primavera e anziana donna in inverno. Insieme a lei, tutti gli esseri viventi seguono la stessa sorte, muoiono in inverno con la speranza di una nuova rinascita, piena di prosperità e fecondità in primavera.
Nell’antica Roma molte dee potevano essere ricollegate al ruolo di madri dispensatrici di fecondità, garanti della fertilità di uomini, piante ed animali e tra queste sicuramente possiamo annoverare le dee Strania (di origine Sabina), Demetra e la figlia Proserpina, Vesta, Giunone, Diana… Quest’ultima, dea della Luna e della caccia, si credeva volasse sopra i campi per portare rinnovata fertilità durante le dodici notti che separano il solstizio invernale dal 6 Gennaio, periodo di interregno tra la fine dell’anno solare e l’inizio dell’anno lunare. Gli stessi doni che ancor’oggi la Befana porta a tutti i bambini buoni sono un ricordo dell’antica usanza pagana di regalare, con l’inizio del nuovo anno, semi e primizie come simboli della vita che rinasce.
E il carbone, allora? Quest’ultimo è probabile che sia un riflesso dell’antica abitudine, sviluppata soprattutto nei paesi del Nord Europa, di regalare tizzoni di carbone ardente a simboleggiare il fuoco latente e celato, pronto a rivivere acceso da nuovo Sole primaverile.
“La Befana”. Incisione tratta da L’Italia, di Audot, edito a Torino nel 1835
Con l’avvento del Cristianesimo molti riti pagani vennero distorti e condannati, molti altri invece, più difficili da eliminare perché profondamente radicati nel substrato popolare, vennero reintegrati nella nuova tradizione religiosa: questo è il caso della Befana, che nonostante sia piuttosto distante dai Re Magi (anch’essi portatori di doni!), è stata ad essi associata, anche nel nome. Il termine Befana infatti altro non è che la distorsione del termine greco Epifania, “apparizione”, ad indicare proprio il momento in cui il Cristo bambino si manifestò al mondo.
Ma torniamo alla nostra Befana. Il paragone più evidente che viene alla mente guardando la povera vecchietta è sicuramente quello con le streghe, donne brutte e vecchie, adoratrici di Satana, (spesso sono state rappresentate anche come giovani donne seducenti dal carattere lascivo e dissoluto proprio per sottolineare il potere tentatore del peccato) che con malefici e sortilegi provocano morte e distruzione. E sebbene gran parte dell’iconografia della Befana si possa dire influenzata dalle streghe (o viceversa?) un particolare importante non può sfuggire: la Befana vola su una scopa che però tiene al contrario rispetto alle streghe, forse proprio per sottolinearne la differenza!
Nonostante il trascorrere dei secoli, il carattere tipicamente pagano della Befana rimane predominante nella cultura e nella tradizione popolare italiana. In molti paesi infatti, la notte tra il 5 e il 6 Gennaio, “La Vecchia”, un pupazzo vestito di stracci, viene bruciato in un grande falò, mentre la gente festante intona canti e danze di buon auspicio per il nuovo anno.
“La Befana, Costume in Roma, il mese di gennajo, 1821.” Incisione di Bartolomeo Pinelli
Questo porta la cotta e la sottana,
Quello è vvistito in càmiscio e ppianeta,
E cquel’antro è uffizzial de la bbefana.
A Roma la festa della Befana è da sempre molto sentita e viva, tanto da ispirare una divertente poesia al Belli. Ma prima di riempire e colorare la bella piazza Navona con carretti, bancarelle e giostrine, la Befana amava essere festeggiata in un’altra piazza di Roma, poco distante dalla prima, ma molto più raccolta e piccolina: piazza Sant’Eustachio. Qui infatti, fino al 1870, le persone si riversavano festanti e allegre, con trombe e campanacci per fare baldoria. A noi oggi non resta che aspettare che la simpatica vecchina venuta da lontano scenda nel nostro camino a riempirci la calza di dolci… e se proprio sarà carbone… almeno che sia di zucchero!
Articolo di Ilaria Brera e Federica Padovani, Presidente e Vice Presidente dell’Associazione Culturale L’Asino d’Oro.