Sono Zelda Sayre. La figlia del Giudice. La futura fidanzata del futuro grande scrittore.
E' Zelda che parla, la Bella del Sud. La ragazza dell'Alabama che può far girare la testa a chiunque e che non arretra di fronte a ogni possibilità di scandalo, anzi. Perché sono questi i tempi, soprattutto per una ragazza dell'Alabama che guarda avanti. Oltre il giardino di casa, oltre le torte al rabarbaro e gli inni in chiesa.
Troppo avanti, però. Un giorno Zelda incontra un sottotenente destinato a grandi cose. Scott, Scott Fitzgerald si chiama, e non sarà un eroe di guerra, ma uno straordinario scrittore. Più grande, in effetti, con le parole che con i sentimenti.
E arriveranno i ruggenti Anni Venti, il successo e il lusso, i lampi dei fotografi e le sbronze di champagne. Falò di vanità in cui tutto sembrerà possibile, e forse per qualche tempo lo sarà anche. Prima di accorgersi che non rimane più niente, di questa corsa a perdifiato attraverso tutto o tutti, Niente o piuttosto il conto, salatissimo, da pagare.
A pagarlo sarà soprattutto Zelda, la Bella del Sud a cui il grande scrittore succhierà la vita per poi lasciarla ai margini della strada come un rifiuto gettato dall'auto.
Storia conosciuta, scritta anche da altri, questa. Però è bravo Gilles Leroy in Alabama Song (Baldini Castoldi Dalai) a regalarci lo sguardo di Zelda, il suo racconto in prima persona: dalle frenesie dei balli che sfidano l'alba fino alla lobotomia. Fino al sipario che cala sui ruggenti Anni Venti. Fino a quel conto saldato per intero.