Helga Muchnik, Helga Singer, Palita. Molti nomi, una sola persona. Una sola persona, molte vite. Un decennio dopo la prematura scomparsa dello scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, avvenuta a Bangkok nel 2003, sorprende la pubblicazione di un romanzo inedito sulle indagini del detective Pepe Carvalho. La bella di Buenos Aires, uscito per Feltrinelli a gennaio di quest’anno nella collana “I Narratori”, affronta diverse tematiche che aprono a molteplici spunti di riflessione: dalla memoria dei momenti bui della storia ispanica e argentina alla cultura tanguéra e popolare; dai complotti politici ed economici delle alte sfere della società alle più improbabili forme di aggregazione e organizzazione tra emarginati. Una misteriosa donna, un’antropologa, Dorotea Samuelson, ingaggia Carvalho affinché riesca ad avere notizie di una donna di Buenos Aires, Helga, trasferitasi in Spagna agli inizi degli anni ottanta. Le piste sul suo conto sono poche: aveva ambizioni artistiche tanto che avrebbe potuto diventare l’Emmanuelle argentina, aveva una sorella in Spagna e aveva collaborato con un regista teatrale argentino. Parallelamente l’ispettore della polizia catalana Lifante si occupa del ritrovamento del cadavere di una donna senzatetto, una barbona, nei pressi della metropolitana di Urquinaona. Bastano poche ricerche per scoprire la vera identità di Palita, il nome dato alla donna dai suoi compagni di miseria: Helga Singer. Le ricerche della donna che avrebbe potuto essere l’Emmanuelle argentina, per Dorotea, possono considerarsi concluse, ma non per Carvalho e per il suo fedele socio, Biscuter: lo scopo dell’ingaggio infatti era quello di avere notizie di Helga dal momento del suo arrivo in Spagna e il ritrovamento del cadavere, violentemente martoriato, lascia molti interrogativi. Le attività investigative di Carvalho e della polizia catalana si incontrano e talvolta si scontrano seguendo spesso le medesime piste. I brevi capitoli che compongono il romanzo (ben 28 per 156 pagine), non osservano neppure a grandi linee le unità aristoteliche in quanto ognuno di essi segue un diverso personaggio, un tempo e un luogo che talvolta non hanno soluzione di continuità e costringono lo stesso lettore a vestire in prima persona i panni da detective, cercando di intuire, attraverso piccoli indizi, il contesto della situazione e l’identità di coloro che via via prendono la parola.
Attraverso una lunghissima passerella di personaggi che oscillano dal diplomatico Aquiles Canetti, a Pepita Di Calahorra, proprietaria di un locale notturno, fino ai più infimi elementi della scala sociale, quale Pascualet, un ultrà impenitente, e Cayetano, un barbone amico di Palita, la verità sull’omicidio si complica, e allarga i suoi orizzonti ad una visione internazionale. La panoramica degli eventi trova il suo inizio dal regime militare in Argentina prima della svolta politica seguita alla sconfitta nella guerra delle Falkland (Helga fugge perché temeva i militari), ai residui, in Spagna, della dittatura del Generalísimo, durata quasi quarant’anni. I volti e le storie che Montalbán racconta non sono mai quelli che sembrano. La Barcellona de La bella di Buenos Aires si trova a vivere un momento di profondo cambiamento e riassetto urbano (la vicenda è ambientata approssimativamente nel 1994); l’ispettore Lifante, da buon epigono di Saussure, si interessa più di interpretare la realtà secondo i dettami della semiologia che di trovare piste utili alla soluzione dei casi; Biscuter, collaboratore di Carvalho, ha un passato turbolento tanto da essere un ex galeotto (il soprannome Biscuter è dovuto al nome di un’utilitaria molto diffusa in Spagna negli anni cinquanta); la stessa protagonista passa in poco tempo da aspirante attrice, possibile erede di Sylvia Kristel in Emmanuelle, film di grande successo di Just Jeackin del 1974, ad entraîneuse, a cantante di tanghi per strada, fino a ridursi a barbona alcolizzata e forse prostituta. La riesumazione degli scritti di Montalbán produce un libro dalle tinte fosche, dalla trama fumosa e colorita da un linguaggio a tratti da barrio, da strada dei bassi borghi dove predomina il turpiloquio, talvolta nella sua forma esasperata in bestemmia. La terza persona della voce narrante cede spesso all’indiretto libero, sfociando qualche volta nell’anacoluto, tipica irruzione del codice orale in quello scritto.