È difficile chiedere a una fiaba o a una favola di non essere didascalica, ma se la storia in questione è la trasposizione di un romanzo originale di cui già la Disney aveva operato una riduzione, allora si potrà pensare: magari non si scivola così ripidamente nell’edulcorato, e anche qualche adulto può godersi la pellicola senza sentirsi in colpa, perché in fondo sa di guardare un prodotto per bambini.
La bella e la bestia non è solo un prodotto per bambini: è una storia fantastica, magari tagliata un po’ con l’accetta perché alcuni cambiamenti nel carattere di Belle paiono troppo repentini e poco oliati, ma gode di una maturità e di una consapevolezza che trascende il semplice racconto fiabesco, conservandone però l’impostazione fondamentale: la voce narrante che racconta ai bambini l’accaduto,mentre le pagine di un libro si susseguono e si animano confondendosi con i fotogrammi. È di Belle, quella voce, che racconta ai due figlioletti – non lo si dichiara subito, ma è fin troppo intuibile – la sua stessa vicenda: vittima sacrificale volontaria per salvare la vita al padre, destinata a una curiosa clausura dalla quale solo sentimenti forti potranno farla uscire. La prima cosa che colpisce, soprattutto chi conosce solo la versione Disney, sono le differenze drammaturgiche: molto spazio riservato all’antefatto, che emerge continuamente in flashback, e alla vicenda del padre della bella; notevole ma più appropriata l’assenza dei particolari più musical e fanciulleschi, come gli oggetti animati mentori della ragazza. Padroneggia anche un’atmosfera più gotica, supportata da effetti grafici di buon livello ma talvolta stucchevoli, che non riescono a compensare lo squilibrio narrativo tra il centro e la conclusione del film. Se il finale è già noto, pare quasi una scorrettezza renderlo così lieto e … lasciamo in bianco queste ultime righe, per non essere impertinenti come gli ultimi minuti della trama.
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