La Bella e la Bestia di Christophe Gans è un piccolo grande gioiello che ci fa scoprire una fiaba dalle sfumature molto diverse e significative rispetto a quella che già conosciamo con il classico Disney, cosa che potrebbe provocare non poco turbamento in alcuni ma che in realtà risulta positiva perché è una rivisitazione che va molto più a fondo in questa storia/mito riscontrabile in centinaia di versioni nella cultura europea. Gans, regista francese reso noto da Il patto dei lupi, cerca di prendere una discreta distanza anche dallo storico capolavoro di Jean Cocteau e lo fa attingendo direttamente dalla versione più antica e meno nota della storia ad opera di M.me Villeneuve. Quest’ultima è molto estesa, particolareggiata e densa di riferimenti alle Metamorfosi di Apuleio, quelle di Ovidio e alla mitologia greco-latina in generale, nella quale le radici narrative de La Bella e la Bestia sono ben piantate, a partire dal mito di Amore e Psiche.
L’attenzione di La Bella e la Bestia, a differenza delle altre opere, è posta anche sulle condizioni iniziali dei due protagonisti: da una parte la situazione economica disastrosa del padre di Bella e della sua famiglia, dall’altra le cause che hanno portato la Bestia a subire la sua mostruosa, seppur sempre affascinante, metamorfosi. Come nel Dracula di Bramstoker di Coppola, come per i mostri della Hammer, troneggia elegantemente il concetto – molto inglese, vittoriano – per cui ci sia una discreta dose di fascino nella mostruosità, che da sempre è stata trasfigurazione di una sessualità non ben digerita dalla società circostante contemporanea. Al tempo stesso qui la mostruosità della Bestia, interpretata qui da Vincent Cassel (fisicamente sul set e poi attraverso una maschera, apposta sul viso in CGI, che segue le sue espressioni) assume anche dei contorni della critica di un matrimonio combinato, molto frequente all’epoca in alta società, ma anche quelli più universali e psicologici della repulsione di una fanciulla che esce dalla pubertà con un complesso di Elettra molto accentuato e che dunque percepisce tutte le attenzioni maschili al di fuori da quelle affettuose del padre come mostruose e quasi insopportabili. Al tempo stesso, grazie alla tenera cornice inserita, La Bella e la Bestia è anche leggibile come storia mitica di fondazione di una famiglia e del suo mestiere tradizionale: il principe e principessa sono re e regina da giovani e questi ultimi simboleggiano quasi sempre i genitori nei sogni dell’infanzia. A parte la sublime attenzione che Gans dedica al mito e al rapporto tra uomo e natura (ben approfondito nei flashback della Bestia da giovane), La Bella e la Bestia è visivamente curatissimo e denota davvero grande gusto nelle scelte scenografiche e costumistiche: lo stile si rifà soprattutto a quello impero ma anche al gotico e al liberty, cosa che lo rende eclettico e fantastico, oltre che gradevolissimo allo sguardo. La bellezza semplice e il portamento di Léa Seydoux la rendono una Bella naturale, che si trova perfettamente a suo agio nelle vesti e nel ruolo e si contrappone appunto al fascino aggressivo – non propriamente un belloccio – di Cassel: appare poco convenzionale ma in realtà azzeccatissima la scelta dei due attori scelti rispetto all’iconografia classica dei personaggi. Non convenzionale è anche il fatto che l’amore tra i due non ha il predominio esclusivo nella storia, come la ci ha abituato la Disney, perché un antico amore parallelo, rivissuto da Bella attraverso lo specchio magico, ha a che fare con il passato della Bestia.
Da notare le ottime e armoniose le ricostruzioni in CGI nonostante il budget non elevatissimo per il tipo di pellicola. Da notare anche la capacità di fare un film per tutti ma che non si perde mai in una mediocre banalità ma sfrutta archetipi e miti altri rispetto a quelli che hanno reso nota questa fiaba.
In poche parole, un piccolo gioiello dalle molteplici sfaccettature.