Benché ferita ed offesa, L’Aquila conserva ancora il suo fascino antico e peculiare. Identico ma allo stesso tempo diverso, non è più elegantemente sfolgorante bensì elegantemente sinistro. Bella ma decaduta come una Yvonne la Nuit, orgogliosa e cocciuta testimone della sua antica potenza garbata guizzante da un a crepa o da un buco che mostrano un lampadario di cristallo impolverato, una madia di antiquariato, una scala in porfido.
Solo una cosa è lì, a squarciare ogni illusione di continuità, ad azzoppare i pensieri lunghi dell’ottimismo sensato; le uova pasquali di bar e ristoranti chiusi e sprangati, a terra, nello stesso punto in cui la scossa le catapultò quattro anni fa insieme alle caramelle, alle gomme americane, alle bottiglie di grappa. Testimoni di quel “dì di festa” che ci fu senza esserci, sono le putride carogne al sole dell’evidenza.
Finché non saranno consegnate al ricordo, la normalità non potrà dirsi di casa.