Oggi credo di avere banalmente compreso perché l’uomo tiene tanto alle proprie opere d’arte, a volte sembra più che agli uomini stessi.
Questo dato di fatto che sembra ripetersi puntualmente nella storia mi aveva sempre un poco scandalizzato; cosa può avere più valore della vita umana? Quale opera d’ingegno potrebbe essere degnamente preferita alla salvezza di vite umane? Detta in questo modo la risposta non può che essere corale ed inoppugnabile: nessuna opera d’arte val più di un uomo, chiunque esso sia.
Ma sappiamo che non è così…qualcosa dentro di noi comincia a sibillare…e a fare distinguo: però, dipende dalla persona in questione; se la persona è un clochard? Vale un barbone la Gioconda di Leonardo? Se fossimo in quel museo dove sta custodita la bella dama, e se questa dama fosse in pericolo di distruzione, e se dovessimo scegliere nella tempestività del nostro intervento se salvare l’insostituibile quadro o la vita di un pezzente che dovesse passare in quel luogo per pura circostanza, dove si dirigerebbe spontaneamente la nostra azione di salvataggio?
Temo di conoscere la risposta, non escludo che molti di noi sceglierebbero di salvare il celebre dipinto a discapito del povero umiliato.
Da qui la domanda più che legittima: cosa raffigura per noi un reperto artistico, un qualcosa che è stato consacrato nel tempo come unico, irripetibile e di ineguagliabile valore? Rappresenta il nostro essere sopravvissuti al tempo, cioè alla morte, cioè al contingente. Ogni essere umano deve o dovrà morire, ma non ciò che ci può sopravvivere…
L’arte è l’immortalità che vince sul finito, esattamente come la filosofia che è immortale in quanto arte del comprendere, esattamente come l’amore che è immortale in quanto arte del sacrificarsi per qualcuno.
Quando ci troviamo in una condizione particolare della nostra vita, quando comprendiamo che tutto del nostro tempo sta mutando radicalmente con un passo senza ritorno, quando ci troviamo a dovere scegliere di dovere portare con noi qualcosa che conti, che ci rappresenti, che non possiamo lasciare all’incuria del caso, ecco che ci troviamo a selezionare gli oggetti, le cose, i pezzi che per noi hanno un particolare significato, cioè quelli stessi creati dal nostro ingegno, dalla nostra fantasia.
Se da un lato è pur vero che non c’è creatura vivente di maggior valore di un figlio, dall’altro lato è pur vero che i figli acquistano, anzi, già vengono al mondo con la loro autonomia ed il loro diritto sovrano ad autogestirsi. Non questo vale per gli oggetti; gli oggetti, tra i quali possiamo annoverare universalmente ogni opera d’arte, non sono creature viventi autonome e sovrane, ma creature morte che ci rappresentano e che si rimettono alla nostra capacità di custodirle….
Esattamente come dei figli piccoli che necessitano della patria potestà.
Dunque, creature nel senso di create da noi, morte nel senso di non viventi come solo un essere umano può essere considerato l’espressione eccelsa della vita, ma immortali perché ci sopravviveranno e dunque saranno il nostro segno tangibile del continuare ad essere ricordati.
Ma perché è così importante rimanere nella memoria di chi ci ha conosciuto, che sia direttamente o indirettamente, non importa?
Perché io credo che nel ricordo sopravvive appunto la vita, il fiato di creazione che ha permesso a quell’opera di ingegno di venire al mondo e di trovare il suo più o meno perenne collocamento.
Solo Dio, cioè solo un essere non umano e per essenza immortale, cioè fuori del tempo, potrebbe senza esitazione scegliere di salvare il barbone e non l’opera d’arte. Dio in quanto Dio non necessita del tempo, non necessita della creazione di sé che possa ricordare l’esistenza stessa del divino, e dunque solo per questo Dio è amore puro, capacità assoluta e perfetta di darsi senza richiesta di avere qualcosa in cambio.
In conclusione, Dio è un artista che ha creato senza bisogno, l’uomo è creativo perché necessita di ripetersi e di lasciare un segno di sé nel prossimo.
0.000000 0.000000