Poi ci sono costruzioni repellenti. Nessuno, credo, possa varcare quelle soglie con spirito sereno: tapparelle bianche, tonnellate di materiali ostili come cemento e acciaio, profilati con strane crasi cromatiche che urlano vendetta. Certo, certissimo, che i suoi alloggi saranno assai più confortevoli delle camerate di un antico istituto, che i servizi igienici assai più numerosi e decenti. Ma non c’è nessuna bellezza lì, nessun conforto per l’anima. Se esiste un’anima che ha bisogno di bellezza.
Aggiunge qualcosa di essenziale alla vita una casa bella a vedersi? Io credo di sì.
Io non credo invece che sia possibile vivere bene nello squallore, io non credo che sia giusto che accada. Credo addirittura che sia stupido, ignobile, costringere gli uomini a vivere nello squallore. Il fatto è, dicono, che la bellezza costa. E che una volta era possibile fare le cose belle perché la manodopera costava poco. È vero. Ma è vero in parte. Se vuoi fare della bella architettura il suo costo aggiuntivo non sarà superiore al 5-7% rispetto a una schifezza. In un paese che è 200 volte più ricco di cento anni fa, è proibitivo spendere per la bellezza? Davvero non possiamo più permettercela?
Sono portato a credere che non sia tanto la mano d’opera, quanto il di più di guadagno a rendere proibitiva la bellezza. Ciò che chiamiamo speculazione è il nemico numero uno della bellezza. Non c’è in ogni città palazzo popolare, casa operaia costruiti prima della guerra che non abbia, seppur minimo, un suo segno di eleganza, di gratuita offerta di buon gusto.
A Genova nella casa che fu dei carbonai una scritta dice: ricordati che un lavoro, anche il più umile, se è fatto bene crea bellezza. Cento anni fa, dei miserabili scaricatori di porto entrando nel luogo del loro lavoro la prima cosa a cui erano invitati a pensare era la bellezza insita in ciò che stavano facendo. Un secolo fa pensavano anche alla bellezza oltre ai bisogni primordiali.
Una lezione che non abbiamo imparato...