1963, Washington DC.
Il gabinetto Kennedy convoca quindici esperti per redigere un dossier sull’utilità economica, sociale e statistica della guerra. Il prospetto di tale studio segreto era tutto sommato semplice: alla fine del conflitto in Vietnam la Casa Bianca avrebbe dovuto valutare se terminare anche la Guerra Fredda coi sovietici, lanciando un attacco preventivo. Attacco di tipo atomico, naturalmente, cosa che tra l’altro, a dire di questi esperti, rientrava anche nelle opzioni del Cremlino. Colpire in anticipo per sorprendere il nemico storico.
Nacque così Rapporto segreto da Iron Mountain, un complesso studio che sosteneva l’assoluta necessità di scatenare un conflitto contro l’URSS. In sostanza, al di là della valutazioni “filosofiche” sulla guerra, il documento sosteneva che il sistema capitalista aveva assoluto bisogno di questo conflitto, per sopravvivere e proliferare. Il Rapporto era corredato da note statistiche, da proiezioni statistiche, finanziarie, economiche.
Sarebbe dovuto rimanere segreto, ma una mano anonima passò una copia del documento a un editore di New York, la Dial Press, che ne ricavò un libro subito tradotto in 15 lingue. Boom di vendite e di interessi, caccia ai quindici fantomatici membri della commissione Iron Mountain, dibattito, panico, polemiche.
Le parti più controverse del Rapporto riguardavano strategie sociali estreme e spietate: anticoncezionali polverizzati negli acquedotti, per controllare il boom demografico, guerre civili locali, per imporre la legge marziale, psicofarmaci diffusi ad ampi livelli, per sedare le proteste della gente, durante le crisi finanziarie ed economiche.
Soltanto nove anni dopo, nel 1972, si scoprì che Rapporto segreto da Iron Mountain era un clamoroso falso.
A confessarlo furono i reali autori: l’editore stesso della Dial Press, E.L. Doctorow, e lo scrittore (e in seguito editore a sua volta) Leonard Lewin.
La loro operazione voleva essere una critica sociale alla Jonathan Swift. Una provocazione, per mettere in luce alcuni lati oscuri e grotteschi della politica, estremizzando difetti che in realtà erano assai più normali di quelli ipotizzati nel libro. I due autori erano convinti che nessuno avrebbe potuto realmente credere a teorie tanto strampalate. Quando videro che le vendite erano schizzate alle stelle, decisero di mantenere il segreto ancora per un po’.
Troppo tardi si accorsero che moltissime persone avevano preso il Rapporto per un vero, sacrosanto saggio di denuncia antipolitica.
Ancora oggi, nel 2014, Rapporto segreto da Iron Mountain viene considerato la Bibbia (o comunque uno dei testi sacri) dei cospirazionisti americani.
Badate bene, non mi riferisco a gente del tipo che si beve le panzane di Adam Kadmon, senza però scaldarsi più di tanto, bensì a gruppi paramilitari xenofobi, milizie popolari, indipendentisti di varia natura, neonazisti americani, affiliati al KKK, antieuropeisti, anti-islamici, gruppi millenaristi e chi più ne ha più ne metta.
Alcuni Stati degli USA sono pieni di questi tipetti simpatici. E, statene pur certi, tutti hanno letto Rapporto segreto da Iron Mountain (che è anche uno dei libri più fotocopiati e rubati di tutto il continente Nordamericano).
Gli autori del terribile attentato di Oklahoma City, tanto per dire, lo avevano letto.
MK Ultra, spesso citato a sproposito dai populisti.
La cosa ancora più assurda è che uno degli autori, Lewin, è un pacifista convinto. Aveva scritto il Rapporto come presa in giro di certe prese di posizione estreme e guerrafondaie, ma ora lo vede trasformato in una sorta di manifesto xenofobo e cospirazionista. Una vera e propria Bibbia, dicevamo, sulla falsariga di certi siti di moVimenti pseudopolitici che oggigiorno utilizzano le teorie del complotto per fare campagna elettorale.
Studi recenti confermano che è proprio questo insistere sul cospirazionismo d’accatto che porta molti elettori ai movimenti di protesta.
Non deve perciò stupire un fenomeno come quello dei Forconi, poi risoltosi in nulla, in cui confluivano micro-sigle della sfaccettata galassia di estrema destra, ma anche gruppi contro le scie chimiche e i vaccini, oltre ai consueti revanescisti anti-UE, anti-Germania etc etc, il cui odio è alimentato soprattutto dalle teorie sul Nuovo Ordine Mondiale, il Bilderberg e altre piacevolezze di questo genere.
Ma per i Forconi che se vanno, ecco altri populisti che cavalcano la tigre, rischiando di attestati come secondo partito del Paese.
Comunque, se volete farvi una cultura in merito, vi consiglio l’ottimo saggio Cervelli sconnessi. La resistibile ascesa del net-liberismo e il dilagare della stupidità digitale, di Giuliano Santoro, pubblicato da Castelvecchi.
La terribile arma del populismo ha sempre funzionato alla grande, ma ai tempi dei social network funziona ancora meglio.
Lo dicono gli esperti di comunicazione, mica io.
L’uomo comune ha bisogno di trovare un nemico a cui ricondurre tutti i problemi che vive nella quotidianità (crisi economica, crisi sociale, immigrazione etc). Facile, per i demagoghi, disegnare un bersaglio sui “poteri forti”, spesso lontani dall’uomo comune, che li percepisce come distaccati dalla realtà nonché privilegiati a discapito dei più disagiati.
In più la burla della “democrazia diretta” diffonde messaggi pericolosi, ma di grande impatto, come per esempio la necessità del “popolo” di prendere le armi per cacciare, nell’ordine, “i tiranni” e “gli stranieri che rubano il lavoro e/o distruggono le nostre tradizioni”.
Nessuno sostiene che corruzione e immigrazione non sia veri problemi (lo sono), ovviamente. Affrontarli con gli slogan non porta generalmente a nulla, se non all’addensarsi di brutte nuvole sulla normale, civile vita democratica, che ha bisogno di meno populismo e di più cervelli funzionanti.
Oggi non c’è più un caso singolo ed eclatante come quello del Rapporto da Iron Mountain, eppure molti siti e blog di antipolitica svolgono la medesima funzione del libro stampato dalla Dial Press. Con una sola aggravante: chi sta dietro a questi siti svolge disinformazione in modo conscio, e non nell’erroneo tentativo di fare satira sociale.
I cavalli da battaglia del populista.
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(A.G. – Follow me on Twitter)
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