La seconda acquaforte dedicata al successore di Mosè che commentiamo è la n. 49 “Giosuè e i re sconfitti”. Una delle immagini più tese dell’intera serie biblica di Chagall, anche se, come sempre, la violenza è allusa ma non mostrata. Qui è vero che Giosuè ha un’aria minacciosa, e i cinque re un’aria spaventata, però non scorre una goccia di sangue; diversamente da una grandguignolesca miniatura medievale che ho avuto modo di scoprire, in cui le teste dei re uccisi ruzzolavano giù da cavallo schizzando zampilli rossi.
Questa immagine, mesi e mesi fa, è stata quella che ha fatto scoccare la scintilla dell’idea di commentare diffusamente la serie, perché conteneva intriganti messaggi criptati. In questo caso, l’elemento “ulteriore” è il re al centro del gruppo dei prigionieri. Penso esistano pochi dubbi che si tratti di un Ecce Homo, di un Cristo della Passione. A scanso di equivoci, l’artista lo ha raffigurato nella postura detta sindonica: volto allungato, occhi chiusi, naso robusto, capelli lunghi, barba a doppia punta, mani incrociate sul pube. Come in infinite Pietà della pittura tardo-medievale e proto-rinascimentale.
Che cosa significa? Escluderei tanto un’esortazione al massacro dei cristiani, quanto, a maggior ragione, una polemica contro i “perfidi” ebrei “deicidi”. Ad accomunare i due personaggi è sostanzialmente il nome: Jehoshuach, anche se in italiano Giosuè e Gesù sono diventati due suoni diversi. Come accennato la volta scorsa, nelle illustrazioni bibliche chagalliane Giosuè assume un’ampia valenza simbolica; e altrettanto vale per Gesù, che l’artista utilizza sempre anacronisticamente in contesti diversi da quelli standard. Simboli, ma di cosa?
Di primo acchito mi veniva in mente il discorso sulla guerra che si trova nel Bhagavad Gita, ma non esageriamo con i sincretismi. No, c’è una radice molto più vicina. I due Jehoshuach hanno il comune il davàr, la parola e la “cosa”. Diventano simbolo della realtà della Storia, che secondo Chagall è un cammino aperto, incerto, ambivalente. Giosuè e Gesù sono le due facce della stessa medaglia. Come insegnava Qohelet: “Tutto è vanità / un soffio di vento (non a caso, la stessa radice del nome Abele)… C’è un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire, un tempo per piangere e un tempo per ridere… un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace”.
dhr