Magazine Cultura
Una biblioteca infinita è sempre stato il mio sogno. Legno bianco e luce tagliente, che svegli la mente, che sproni la ricerca del prossimo titolo, che faccia correre lo sguardo su lunghe distanze, spezzando il fiato per l’emozione di un’interminabile sequenza di esperienze che è lì, pronta a scoppiarti dentro. Nel mio visionario amore per la lettura e per il libro, non avevo mai pensato al papiro. Era questo il “supporto” che gli antichi utilizzavano per far trascrivere i testi che decidevano di consegnare ai loro discendenti. Un supporto lungo fino a 10 metri, da srotolare con entrambe le mani, visto il relativo ingombro, per poter leggere, in piedi, le riflessioni di un filosofo epicureo. A questi supporti, denominati dai romani volumnia, e ai luoghi dove erano conservati è dedicata una mostra ospitata all’interno degli ambulacri del Colosseo, incentrata proprio sul ruolo delle biblioteche durante l’impero. Perché se Plinio il Vecchio dava una definizione di biblioteca impeccabile: «archivio organizzato dei prodotti dell’ingegno umano», l’importanza delle biblioteche come luogo di trasmissione del sapere era squisitamente politico nella Roma dei Cesari. La cura e la prolificazione di questi luoghi e del numero di volumnia in essi custoditi diventava forma e strumento di potere (“bei tempi andati”). Dai progetti incompiuti di Cesare alle realizzazioni di Traiano (la Basilica Ulpia, con i suoi 170 metri di lunghezza e 120 di larghezza, dedicata alla famiglia di Marcus Ulpius Traianus, aveva al suo interno un grandioso sistema di biblioteche gemelle nella cui corte si ergeva la Colonna Traiana), i Cesari si resero subito conto dell’importanza di questo strumento attraverso cui era possibile selezionare il sapere perché fosse il più possibile coerente con i valori dell’impero. Accanto alle biblioteche pubbliche, la mostra, permette di scoprire anche il mondo delle biblioteche private, presenti nelle grandi ville, a cominciare da quella dei Papiri con i suoi 1.800 volumnia, sedi per eccellenza dell’otium latino, dove trovavano spazio anche letture non adeguate alla possente romanità.Passeggiando fra gli ambulacri del Colosseo, riportati a nuova vita e a nuova funzione da questa mostra, il pensiero va agli editori che oggi hanno il ruolo che fu degli imperatori, decidendo cosa è giusto o meno pubblicare, cosa fa parte o meno del sapere da condividere. E sebbene “i barbari” dell’auto-pubblicazionee della blogsfera cerchino di assottigliare i confini del loro ruolo, essi sono sempre lì a selezionare e a decidere. Il vantaggio per i lettori è che sono in parecchi. Le biblioteche intanto crescono, ma quanto di ciò che viene pubblicato ogni anno vorremmo leggere se ci trovassimo, come gli antichi greci e romani, a srotolare un papiro privo di segni di interpunzione e di maiuscole, che necessita di un’attenzione esclusiva e di un tempo assai lungo per essere compreso?Dei lettori forti non rimarrebbe che uno sparutogruppetto di ossessivi, con forti problemi alla vista. Allora ringraziamo i romani anche per l’invenzione del codex (primo quaderno in pergamena rilegato – fine I sec d.C.) che portò anche all’inserimento dell’interpunzione, rivoluzionando così il sistema di lettura in occidente. Ognuno crei la biblioteca infinita che più gli aggrada, ricordandosi di comprare almeno un libro ogni tanto.
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