Chi visita la Biennale di Venezia 2013, in questa fase dell’estate, oltre a rimanere abbacinato dalla luce, e d’estate la luce di Venezia è uno specchio di rifrazioni cangianti, rimane stupefatto dal fascino del padiglione dell’Egitto.
Qui sono presenti tre opere, ma la loro bellezza, nella linearità e nella assoluta purezza ricorda Moore e Manzù. Ma andiamo a descriverle.
Entri e trovi una scultura in pietra grigia macchiettata di bianco. È un tronco di prisma pressappoco, ma dispone sul lato destro di un lieve movimento che allude ad una gamba piegata.
È seduto, ma da quel blocco emerge la forma di una mano appena abbozzata. Sulla mano una grande chiave d’oro. Dal monolite
L’intero padiglione è avvolto nell’oscurità. E dopo aver visto questa piccola statua all’ingresso, ecco entrare in un altro ambiente dove è collocata un’altra opera molto strana. Questa è gigantesca, sembra un rinoceronte. In realtà è un mausoleo, una sorta di sarcofago gigantesco avvolto in fasce di bronzo che termina con due piedi d’oro sovrapposti.
Sui fianchi di questo cupo sarcofago una finestrella, ti sforzi di vedere cosa ci sia dentro e scopri in oro il corpo di un faraone con delle scritte, ‘IO,IO, IO, IO….’ Che cosa vedono i tuoi occhi?
È semplicemente una spessa lastra senza forma, ovvero rettangolare ma senza angoli , su cui come appoggiato su un sofà si colloca una testa dai lineamenti appena accennati e su un lato sporgono due mani.
Ma non è finito qui. Volti l’angolo e in un’altra sala un’opera di bellezza inarrivabile. È un sufi. Ma anche qui una purezza di forme assoluta. Col capo leggermente volto in basso, il copricapo e la campana che si allarga sul fondo.
È senza braccia questo sufi e sembra vivere dello stesso equilibrio di una trottola. Davvero ti chiedi come possa stare in piedi. Il tutto sempre inequivocabilmente immerso nel buio assoluto. Intorno i mosaici stupefacenti di un altro affascinante artista Mohamed Banawy.
Written by Elisabetta Marchetti