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La Borsa dei veleni

Creato il 14 maggio 2012 da Albertocapece

La Borsa dei veleniAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ha proprio ragione il Simplicissimus, a proposito di facce di tolla. In questo momento l’ineffabile presidente della Consob, Giuseppe Vegas, durante l’Incontro con la comunità finanziaria si è lanciato in dura requisitoria, visibilmente sorpreso dall’andamento della crisi: “ Stiamo vivendo un “annus horribilis”. Nel corso del 2011 si è confermato e in alcuni casi acuito il divario della Borsa italiana rispetto ai principali paesi comunitari…. Il numero di società quotate è sceso da 272 a 263, la capitalizzazione si è ridotta da 425 a 332 miliardi e in rapporto al Pil dal 27% al 21%. Nei maggiori paesi europei invece, nonostante la crisi, la capitalizzazione sul Pil ha continuato ad attestarsi su valori significativamente maggiori, il 37% per la Germania, il 55% per la Francia e più del 140% il Regno Unito”. Ma soprattutto – pensa un po’ – bisogna difendere le democrazie dall’assalto della speculazione sui mercati: In un mondo sempre più globalizzato diventano più stretti e meno agevolmente tracciabili i legami tra i mercati e gli intermediari, l’eccezionalità di quanto è accaduto nell’ultimo anno pone le classi dirigenti di fronte alla necessità di tutelare il sistema democratico dal continuo assalto della speculazione”.
Al momento non ha chiesto l’intervento dell’esercito, limitandosi non certo inaspettatamente a sollecitare quello dello Stato. quello del governo e perfino quello del legislatore.

Si è accorto con stupore che quelli che definisce “nuovi prodotti e nuove pratiche operative” si collocano in “aree grigie”, dove le regole di vigilanza prudenziale, che presidiano la stabilità dei singoli intermediari, si sovrappongono a quelle che disciplinano la correttezza e la trasparenza dei comportamenti. E adesso, in vista della caduta dei birilli della cupola senz’anima e senza politica, che la politica serve per temperare le rigidità della sedicente flessibilità, che è diventata solo ferrea e indemoniata sregolatezza, per alzare un edificio legislativo forse indirizzato alla difesa del mercato dalle sue aberrazioni. Anche Vegas pateticamente si richiama all’autorità europea senza autorevolezza, dimentico che il problema dell’Europa sta nel fatto che ha creato una zona economica senz’anima, senza governo e senza democrazia vera, con un unico strumento comune, la moneta, senza comunione civile, sociale e democratica. E che questa è una crisi generata dalle istituzioni finanziarie, ma che finora è stata pagata a piè di lista dalle finanze pubbliche, ovvero da tutti i cittadini.
Si adesso che certi labili equilibri traballano è ancora più evidente la sovrapponibilità del sistema finanziario e dello sviluppo, ambedue dissipatamente protesi a una crescita irrefrenabile e sfrenata, ebbra e illimitata, noncuranti dell’esito di quella corsa dissoluta e suicida.

Il capitalismo è una forza cieca e potente che a un certo punto sembra aver afferrato per i capelli l’umanità trascinandola in un processo di “incremento” tumultuoso, abnorme e gonfiato dal vento della liberazione del movimento di capitali, da quell’audace assalto alle regole che costituivano la struttura essenziale dei mercati nazionali, indifferenti che un mercato globale sregolato diventi la negazione dell’economia di mercato e la sua “spoliticizzazione”. Con la mobilità del denaro immateriale e del lavoro, che è poi il trionfo della precarietà e dell’incertezza, il capitale si è sottratto al controllo fiscale e amministrativo dello Stato, cui ha aizzato contro le agenzie di rating, e alla pressione dei rappresentanti degli interessi dei cittadini e dei lavoratori. E aprendo uno spazio di manovra sterminato al sistema bancario emerso e a quello ombra al riparo da controlli e regole che opera con strumenti sempre più ingegnosi e rapaci e sempre più occulti e opachi gestiti da eserciti di soggetti intermediari senza scrupoli.

Un tempo si pensava che la finanziarizzazione fosse una fase, che il ritiro dei capitali dagli impieghi produttivi fosse destinato a finire. Non avevano immaginato che ci fosse un piccolo potentissimo esercito determinato a farne un “tempo” permanente e auto espansivo, che annienta l’economia reale la produttività, le vite vere della gente, dai quali si esige il pagamento dei debiti, mentre quelli del sistema finanziario e del suo azzardo vengono continuamente procrastinati.
La bolla si è gonfiata gonfiata smisuratamente, ora il rischio di esplosione si tocca con mano con l’abnorme indebitamento e la mostruosa estensione delle geografie delle disuguaglianze.
Servirebbero Stati forti, servirebbero politiche coordinate e concordi, servirebbe un progetto do governance illuminato e luminoso che accenda speranza e futuro grazie a una alternativa che una sinistra appiattita e ostaggio ideologico e politico pensa di non potersi permettere nemmeno di immaginare. In mancanza della quale il rischio è quello di precipitare in un caos sistemico, punteggiato della radicalizzazione delle crisi e dei conflitti. Eppure qualcosa si muove, dalla paura sta nascendo il coraggio di pensare altrimenti e cominciare a scegliere altrimenti e la paura adesso afferra altre gole.


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