1 marzo 2013 di Redazione
di Paolo Vincenti
Paolo Vincenti (1971) non è un neofita nel campo della produzione poetica; già vasto è, difatti, il suo repertorio di pubblicazioni. Con l’ultima sua raccolta dal titolo “La Bottega del Rigattiere” (Lupo Editore, 2013), il Vincenti conferma di essere una sorta di autore anarchico che odia costringersi nella schematicità delle regole di versificazione, nella ricercatezza della parola, nell’armonia e nell’eleganza complessiva dell’intero costrutto poetico. Persino la direzionalità della lettura è stravolta, si legge da sinistra a destra e viceversa oppure indenta i versi sino a formare una sorta di immagine geometrica che trasforma la poesia in figura. Questo è il segnale più evidente di uno spirito insofferente a tutto ciò che vuole obbligare nelle regole la libertà vitale di qualunque espressione d’arte.
La suddivisione in capitoli della sua raccolta rende, anche sotto questo aspetto, indipendente la lettura degli stessi e difatti il libro può essere facilmente letto dalla fine all’inizio, da un certo punto in poi o a salti. Ogni composizione è a se stante anche se legata a una tematica comune che la correla alle altre presenti in quella specifica parte. Le poesie raccolte in un tema non sono vincolate ad esso bensì al modo con cui l’autore vuole esprimere la metabolizzazione interiore e intellettuale dell’oggetto del suo verseggiare.
Il Vincenti potrebbe essere considerato un autore caotico, confuso e sincopatico ma ciò è vero solo se si guarda alla sua poesia come espressione di esteriorità e non, invece, come esternazione di uno spirito che costantemente riceve gli influssi della sua terra natia che, a loro volta, cozzano violentemente col sistema dell’informazione culturale globalizzata. Persino l’Inno Nazionale diventa in Vincenti una trasformazione demolitrice del senso patriottico perché nella sua manipolazione esso non è più, come una volta, amore, passione e sacrificio bensì proiezione mediatica di un mondo dove globalizzazione ha significato perdita del proprio sentirsi nazione. Ogni aspetto della vita e del passato diventano in Vincenti argomenti da poetare tanto che tutta la “Bottega del Rigattiere” diventa un collage di esperienze, di sentimenti, di visioni allucinate e depersonalizzanti inframmezzate da momenti di estrema lucidità e chiarezza intellettiva.
È proprio il suo ossessionato cercarsi nei meandri della cultura classica, della vita quotidiana e dalla sua volontà di esprimersi che nasce la “Bottega del Rigattiere” la cui scelta del titolo è facilmente rintracciabile nelle stesse parole dell’autore che a tal proposito scrive: «Ho iniziato a scrivere ché volevo cambiare il mondo, volevo fare la rivoluzione, poi ho cercato di cambiare il senso delle parole -troppo presto hanno iniziato a rovinarmi i poeti francesi- volevo cambiare la vita ma scrivere è difficile, troppo lungo l’apprendistato e non basta una vita … così ho iniziato a citare, riprendere, trascrivere o alla peggio, copiare. Sicché la mia, ora, si può davvero definire come una “bottega del rigattiere”».
Paolo Vincenti, in definitiva, nella sua “Bottega del Rigattiere” racchiude uno sfogo artistico attraverso il quale, impunemente, mostra tutto se stesso, i suoi tormenti e i suoi scatti emotivi.