Si poteva davvero pensare che la boutade – perché tale si è rivelata – muovesse qualcosa? In fin dei conti chi adesso si presenterà al giudizio degli elettori, molto probabilmente ancora in ordine sparso, non avrebbe rischiato nulla accettando di porsi sotto l’egida di un ex ministro degli esteri, per ironia della sorte chiamato a soccorrere proprio gli “italiani” che vivono nel capoluogo di una provincia da sempre “straniera” rispetto all’Italia. Ma se non è andata così, bisogna dirlo, è solo un bene. Un sindaco importato da fuori, a prescindere dal suo prestigio, non avrebbe aiutato la città – e in particolare proprio gli elettori di lingua italiana – a sviluppare quel senso di responsabilità e adesione alla realtà territoriale che ha bisogno di persone, se non nate qui, qui almeno operanti da tempo.
Passata la breve tempesta, la situazione è dunque apparentemente tornata quella di prima. Eppure, anche nel centrosinistra dato sicuro vincente si sono avute un paio di vicende che hanno offuscato lo smalto di Gigi Spagnolli. Il sindaco, infatti, è ancora sicuro di avere l’appoggio della Svp – elemento ovviamente decisivo per la vittoria finale –, ma non sta affatto brillando nella gestione armonica delle sue simpatie e idiosincrasie. La storia è sempre quella della coperta troppo corta. Tirando troppo dalla parte della lista civica “centrista” ispirata alla spregiudicatezza renziana, quella insomma caratterizzata dalla comparsa al margine del Pd di un’anima “liberal”, ha finito per irritare i dirigenti del suo partito di riferimento; strapazzando invece gli ecosociali ha risvegliato il loro antico, e quasi sepolto, istinto alla ribellione. Tanto che questi ultimi andranno da soli all’appuntamento di maggio con una propria candidata, senza speranza di battere gli ex alleati, ma provando almeno a costringere Spagnolli al ballottaggio.
Difficile infine dire come i cittadini reagiranno al riassestamento di un quadro che, al di là delle irrequietezze appena descritte, non offre spunti di vera novità. Di sicuro l’ispessimento del già visto aumenterà la voglia di non recarsi alle urne. Una sconfitta collettiva che non desta più neppure clamore, venendo anzi interpretata come un fattore di “normalità”.
Corriere dell’Alto Adige, 19 marzo 2015