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La bulimia

Da Psicotorino

Dopo aver parlato di anoressia in un precedente post, continua la rassegna dedicata ai Disturbi del comportamento alimentare.

Il termine bulimia deriva dal greco “boùlimos”, “bous”, bue, e “limòs”, fame: letteralmente “una fame da bue”. L’etimologia rimanda all’aspetto di fagocitazione del cibo, tralasciando la condotta di eliminazione (vomito) la cui presenza è essenziale per diagnosticare la malattia.
L’ingestione smodata di cibo e la sua successiva espulsione devono verificarsi almeno due volte alla settimana per tre mesi per poter parlare di bulimia vera e propria.

CRITERI DIAGNOSTICI

La bulimia
Il DSM-IV-TR definisce i seguenti criteri diagnostici:

A.Ricorrenti abbuffate. Un’ abbuffata è caratterizzata da entrambi le condizioni seguenti:
1) mangiare in un definito periodo di tempo (ad es. un periodo di due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili.
2) sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (ad es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando).

B.Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo.

C.Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi.

D.I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei.

E.L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di Anoressia Nervosa.

Sottotipi:

Con Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale di Bulimia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.

Senza Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale il soggetto ha utilizzato regolarmente altri comportamenti compensatori inappropriati, quali il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo, ma non si dedica regolarmente al vomito autoindotto o all’uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.

L’ABBUFFATA BULIMICA

La bulimia
Si caratterizza per una voracità patologica che porta a ingerire grosse quantità di cibo in poco tempo. C’è una compulsione a fagocitare quanto più cibo possibile, in maniera impulsiva e incontrollata. Non riguarda un alimento specifico, non essendo mirata al gusto o al soddisfacimento del piacere legato all’appetito.
Le abbuffate avvengono al riparo da occhi indiscreti, in solitudine: per questo possono essere più o meno programmate. Spesso può capitare che i pasti vengano saltati per timore di trovarsi in preda ad un attacco irrefrenabile in presenza di altre persone.
La persona bulimica si sente trascinata da una forza incontenibile, quasi come fosse estranea, che la dirige verso l’assunzione smodata di cibo (1000- 10000 calorie alla volta). Per soddisfarla in tempi brevi non può ricorrere ad alimenti che richiedano un periodo di preparazione eccessivo, perciò spesso mangia “cibo spazzatura”- junk food: patatine, merendine,… o anche prodotti non totalmente scongelati, con mescolanza di dolce e salato.
I fattori scatenanti sono molteplici: senso di colpa, vergogna, frustrazione, paura e via dicendo. L’abbuffata termina quando insorgono nausea, dolori, o quando si teme di venire scoperti. Viene riferita la paura di non riuscire a smettere, insieme a sentimenti di disgusto per se stessi.
La sensazione di perdita di controllo si accompagna a una componente dissociativa: la persona cioè si sente come se non fosse nel proprio corpo.

LE CONDOTTE DI ELIMINAZIONE

La bulimia

In ogni episodio bulimico all’abbuffata si accompagna una condotta compensatoria di eliminazione, ad esempio il vomito. Le modalità possono variare dall’introduzione delle dita in gola, all’assunzione di grosse quantità di liquidi. Alcune persone bulimiche riescono persino a imporsi il vomito anche solo con movimenti addominali particolari.
L’espulsione di cibo è vissuta come un momento liberatorio, una catarsi.
Le condotte di eliminazione ripetute nel tempo lasciano dei segni che a volte sono l’unico indizio di ciò che sta succedendo. Ad esempio:
piccoli calli sul dorso della mano, dovuti allo sfregamento delle dita con i denti;
erosione dello smalto dentale e carie frequenti;
ingrossamento delle parotidi dovuto all’eccessiva attività salivare
Il controllo del peso, essenziale per rimandare un’immagine estetica di sè socialmente accettabile, viene ricercato anche attraverso digiuni estenuanti e sessioni di intenso esercizio fisico.

LA PERSONA BULIMICA

La bulimia

In generale, si può rintracciare una certa tendenza all’impulsività come tratto comune tra gli individui bulimici.
Nello specifico, si possono distinguere due grossi sottogruppi:
coloro che all’apparenza sembrano perfettamente sani: hanno un bell’aspetto fisico, appaiono in forma e hanno successo in vari campi. Oltre questa facciata c’è una grossa sofferenza interiore che può venire fuori in termini di sintomi depressivi. Hanno un ideale di perfezionismo estremo che cercano di perseguire strenuamente;
coloro che hanno anche altri disturbi comportamentali legati all’impulsività: dipendenze da sostanze/alcool, umore instabile, promiscuità e atti autolesionistici. Faticano a inserirsi in contesti lavorativi e relazionali.

Le persone bulimiche vivono il proprio corpo con disprezzo, maltrattandolo; le condotte alimentari messe in atto in questo disturbo alla lunga possono provocare gravi danni organici.
Spesso in passato sono state bambine obese con genitori svalutanti e colpevolizzanti, attenti più al perfezionismo esteriore che ai loro bisogni affettivi.

LA TERAPIA
L’orientamento sistemico-relazionale tende a considerare i diversi aspetti del contesto di vita dell’individuo. A maggior ragione con giovani adulti o adolescenti si ritiene molto utile un lavoro che coinvolga tutta la famiglia. Il disturbo alimentare può assumere valenza comunicativa all’interno del sistema e riconoscerne le motivazioni sottostanti può aiutare la persona a recuperare i propri confini, valorizzando le proprie risorse e ridefinendo una sana autostima.

(pubblicato in precedenza qui)



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