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La buona scuola, la cattiva Grecia: storia di sconfitte annunciate

Creato il 10 luglio 2015 da Albertocapece

images (1)L’approvazione della “buona scuola” arrivata dopo incredibili ricatti occupazionali sia sui precari che su parlamentari in gran parte di livello inqualificabile, fa il paio con il cedimento pressoché completo di Tsipras alla troika. I due fatti sono apparentemente distantissimi, ma c’è un elemento di fondo che lega i due eventi e che riguarda il ruolo, le modalità, il senso dell’opposizione e del consenso nei sistemi post democratici. Da una parte – parlo della buona scuola – abbiamo il cedimento progressivo di un ceto fino a scoprire – ahimè troppo tardi – di essere stato tradito dal suo partito di riferimento a cui ha concesso, in nome del meno peggio, qualsiasi cambiamento di contesto e di indirizzo. Dall’altra abbiamo il fallimento di un progetto, quello di Tsipras che aveva come obbiettivo finale non l’alternativa a un sistema di governance, ma un impossibile accomodamento con esso.

Ovviamente i compromessi sono necessari e imprescindibili nella vita civile e politica, non intendo contestare questa evidenza, ma si trasformano in elementi deleteri quando da accomodamenti progressivi in vista di una un’idea, di una finalità di cambiamento del paradigma dominante, divengono lo scopo finale dell’azione. Questo vuol dire rendersi prigionieri dei principi dell’avversario ed essere destinati fin da subito alla sconfitta. Così Tsipras è stato alla fine sbaragliato dalla strana idea roussoviana che l’Europa  avesse di suo una natura buona, che la teoria dell’austerità con i suoi massacri sociali fosse solo una variabile indipendente e non accorgendosi che tutta la costruzione era orientata a sottrarre spazio alla politica e alla partecipazione per darla all’economia e ai grandi gruppi di potere. Analogamente gli insegnanti  si sono fidati di una natura intrinsecamente coerente del partito di centrosinistra senza coglierne le mutazioni dentro un contesto politico isterilito e si sono ritrovati alla mercé di un burocratismo autocratico, falso efficientista, miserabile, ricattatorio e fatalmente destrorso.

Almeno nel primo caso gli eventi hanno dato luogo a un referendum, a un pronunciamento popolare che non so bene se Tsipras volesse vincere, che rimane comuque come un momento di democrazia, forse destinato ad essere un nucleo di cambiamento delle cose. Ma nel secondo caso non sarà qualche manifestazione e qualche flash mob a cambiare gli ordini di scuderia di un pensiero unico che per rimanere tale ha bisogno che la scuola consista in un’educazione non alla cittadinanza, ma ai modi della diseguaglianza.

Ci troviamo di fronte – sono costretto a ripetermi – all’estinzione del riformismo ( vedi qui) che non ha più alcun senso dopo il passaggio dal capitalismo produttivo a quello finanziario e dopo la globalizzazione. Semplicemente il sistema di potere complessivo che si è affermato non è più interessato alla transazione se non in contesti marginali. Affrontare dunque le battaglie avendo come scopo finale qualche cambiamento all’interno del medesimo contesto, non porta ad alcun risultato, se non a mostrare l’incapacità di sfuggire all’egemonia culturale anche quando si può disporre di armi non spuntate.


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