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La "bussola" di Bruno Trentin, di Jacques Delors

Da Brunougolini

Cinque anni or sono, il 23 agosto 2007, moriva Bruno Trentin, già segretario generale della Cgil nonché autore di numerosi libri e saggi. Un complesso di opere che ancora oggi alimentano la riflessione di militanti e studiosi. L'Unità per ricordare la sua figura ha pubblicato la prefazione di Jacques Delors, ex presidente della Commissione europea, alla versione francese della “Città del lavoro” di Bruno Trentin, in uscita a settembre presso la casa editrice Fayard di Parigi. La traduzione è a cura di Marcelle Padovani. Segue una recensione del sottoscritto, Bruno Ugolini, al libro di Carlo Verri "Guerra e libertà" dedicato a Silvio Trentin, il padre di Bruno

LA PREFAZIONE DI DELORS ALL'EDIZIONE FRANCESE DI "CITTA' DEL LAVORO"
"Tra i protagonisti della resistenza al fascismo, animatore dei grandi conflitti sociali degli anni sessanta-settanta, segretario generale della CGIL, il primo sindacato italiano, dirigente politico presente sia al Parlamento nazionale che al Parlamento europeo, Bruno Trentin è stato presente in tutte le battaglie della sinistra, dopo la guerra in poi.
Io potrei sviluppare tutto il suo itinerario , nelle sue diverse fasi, passando così, dopo il suo impegno durante la guerra, dal Partito comunista italiano alla Sinistra democratica. Avrei potuto in tal modo esaltare le sue qualità: il coraggio, la solidità intellettuale di fronte a tutti i tentativi di “modernismo”, dopo la fine dell’impero sovietico, la sua indipendenza di giudizio, espressa a qualunque costo.
Oppure potrei essere tentato, per un altro verso, di lodare le qualità di un’uomo che ho avuto la fortuna di incontrare, e col quale ho potuto avere degli scambi: un’ intellettuale di grande forza, esposto alle intemperie dei conflitti, alle opposizioni personali, agli attacchi pseudo ideologici . In un parola, un’uomo in piedi, intransigente ma di grande sensibilità, ed anche un’intellettuale e un ricercatore in scienze sociali, capace di unire il pensiero all’azione.
Non intendo coprire tutte le dimensioni della sua ricerca e della sua azione. Il libro che qui è presentato va molto al di là, per lasciare il posto ad un’analisi politico-filosofica, coinvolgendo alcuni grandi intellettuali che hanno segnato la storia della sinistra.
Tornerò invece all’originalità del suo percorso, a lui, uomo di azione e di responsabilità, animatore del movimento politico come di quello sindacale.
Partendo dal lavoro operaio, dalla fabbrica, dall’impresa industriale, Trentin ha rinnovato l’analisi delle alienazioni del salariato, degli ostacoli che rallentano la sua “capacità” (la possibilità effettiva di un individuo, secondo l’espressione di Amartya Sen), rallentano un percorso che conduce alla libertà e alla personalizzazione.
Prima di tutto occorre smontare i meccanismi del lavoro prima, durante e dopo Taylor. Dare ad ogni lavoratore la conoscenza delle sue potenzialità, la percezione degli ostacoli alla sua autonomia, e alla sua creatività, la necessità dunque della lotta per l’acquisizione dei diritti.
Bruno Trentin copre tutti i parametri della situazione dell’operaio nell’apparato produttivo, la parcellizzazione dei compiti, la poco conoscenza, da parte del salariato, del contesto del suo lavoro, la gerarchia oscura e pesante delle sue motivazioni, le frustrazioni che ne nascono, ivi compresa l’ingiusta remunerazione del lavoro compiuto.
Ci si trovava molto lontano da quella civiltà del lavoro alla quale i militanti aspiravano. Occorreva partire dall’atto fondativo del lavoro per accedere al suo controllo, e alla giustificazione della creazione a partire della natura. Per le caratteristiche intrinsecamente fondatrici del lavoro, andare più lontano di tutti i progetti di cogestione o autogestione, costruire assieme la società del lavoro, senza ingenuità, senza illusioni di base, con il concorso di tutti: dal ricercatore all’ingegnere, dall’operaio al capo reparto, dal programmatore al responsabile. In altri termini, fare emergere l’intelligenza collettiva dei lavoratori.
Bruno Trentin si è senza dubbio trovato qualche volta isolato in questo percorso che ha così tanto sedotto alcuni di noi, senza però mai trascurare le altre dimensioni della sua ricerca e i contro progetti per una società aperta a tutti, nella libertà e nella responsabilità.
Ma la sua proposta rimane sempre ancora attuale , anche se la società cosidetta post industriale ha cambiato numerosi dati, anche se la globalizzazione serve di pretesto ad alcuni per giudicare secondarie le nostre aspirazioni alla personalizzazione di ognuno.
L’intuizione di Bruno Trentin, le sue ricerche applicate, la loro formalizzazione nella battaglia delle idee e nella lotta politica, rimangono la nostra bussola.
Jacques Delors
Quel che Bruno imparò
dal padre Silvio Trentin

E' il 14 marzo del 1944 quando Radio Londra da notizia della morte di Silvio Trentin con queste parole “Death of a Leader”, morte di un leader. Mentre Pietro Nenni nel suo diario ricorda: “Durante la gerra di Spagna si era prodigato senza riserve in favore dei rossi”. Ora la figura di questo eminente studioso, padre di Bruno Trentin, è ricostruita nel bel libro dello storico Carlo Verri: “Guerra e libertà, Silvio Trentin e l'antifascismo italiano, 1936-1939”(edizioni IGS). Un testo che in molti aspetti illumina quanto sia stato stretto il legame ideale tra padre e figlio. Soprattutto su due temi: l'unità tra forze diverse e la ricerca di un modello economico sociale innovativo.
Silvio, professore universitario a Ca Foscari, si dimette nel 1926 e va in esilio in Francia dove fa il contadino e poi l'operaio, prima di gestire a Tolosa la Librairie du Languedoc, luogo d'incontro tra politici e intellettuali italiani e francesi. Non è facile definire politicamente Silvio Trentin. Scrive Verri che cerca “il massimo della libertà e il massimo dell'uguaglianza”. Bobbio lo ascrive al campo del “comunismo liberale”. Intendeva esplorare, scrive nella prefazione al volume Frank Rosengarten, professore emerito della City University of New York, “il terreno di una 'rivoluzione italiana' che avrebbe gettato le basi di un nuovo ordine socio-politico...un rivoluzionario autentico, ma un rivoluzionario poco ortodosso con una permanente disponibilità al dialogo”. Come non vedere in queste poche parole le tracce di un'identità che investe anche Bruno?
Quella permanente disponibilità al dialogo è dispiegata, da parte del padre Silvio, nella assai difficile costruzione dell'unità antifascista, ad esempio nella guerra di Spagna. Ha contatti “contemporaneamente con anarchici, comunisti, socialisti, repubblicani e liberali, anche quando col tempo da alcuni di loro si allontana ideologicamente: funge, per così dire, da connettore”. E' protagonista, così, di pagine di storia spesso amare.
Troviamo, tra l'altro, l'interessante rievocazione di un confronto tra Silvio Trentin e Ruggero Grieco. Con il primo che ritiene che “sussistano le condizioni affinchè l'abbattimento del fascismo implichi da subito lo spodestamento della classe borghese e che quindi non sia opportuno minimizzare i propri obiettivi”. Perciò chiede di non lasciar mai cadere “la parola d'ordine globale” perchè si correrebbe il rischio di favorire soluzioni “di compromesso democratico- borghese, di legittimare qualsiasi transizione”. Mentre Grieco pensa che le masse non siano “ancora attestate su posizioni di lotta rivoluzionaria”. Tesi che in fondo, in altre forme e in ben altri contesti, vediamo rivivere ancora oggi. Fatto sta che Silvio Trentin pensa addirittura in un saggio (“Introduzione spregiudicata”) a un “partito unico del proletariato”.
L'ex professore di Ca Foscari riflette altresì sulle prospettive economico sociali del dopo fascismo. Scrive Verri che “si convince che l'applicazione del socialismo da sola non comporterà automaticamente l'instaurazione di un nuovo ordine libertario”. Ipotizza “la rifondazione dello stato attaverso l'abbandono della sua forma monocentrico-accentratrice”. Una rifondazione basata sul valore dell'autonomia “intesa come autorealizzazione della persona e come autogoverno”.
Sono propositi, intuizioni, che poi ritroveremo in “Liberer et fédérer”. E' un eredità che lascia vistose tracce nell'operato e nel pensiero del figlio Bruno Trentin, il segretario generale della Cgil deceduto il 23 agosto del 2006. Basti pensare alla sua incessante passione unitaria intesa, certo, non come rinuncia alla polemica anche aspra con posizioni diverse, nel suo sindacato e con esponenti di altri sindacati. Basti pensare al contributo dato (con Pierre Carniti, con Giorgio Benvenuto e con molti altri) a un'idea di sindacato fondata sull'autonomia e su strutture democratiche liberamente elette. A un idea del lavoro “liberato” da oppressioni insostenibili e capace di partecipare davvero al processo produttivo. A un modello di società dove sia riconosciuto al mondo del lavoro e ai suoi rappresentanti un ruolo decisivo. Idee destinate a crollare così come crolla l'epoca del lavoro stabile e duraturo? Idee da riprendere, magari innovandole in questi tempi in cui non basta vedere la luce nel tunnel finanziario.
Bruno Ugolini

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